Béla Tarr e Paolo Mereghetti sono stati gli ospiti della prima giornata de L’immagine e la parola, la costola primaverile del Locarno Film Festival.
Il regista ungherese ha tenuto la sua masterlcass davanti a un pubblico folto, giovane e partecipe. Ha parlato del suo modo di fare cinema e in particolare ha evidenziato come nel corso del tempo “lo stile e il linguaggio sono diventati sempre più semplici, più puri”. Ha pure affinato la propria sensibilità sociale e in questo senso spera “di avere avuto una buona empatia con la gente”. Con il suo particolare modo, diretto e senza fronzoli ha rivelato di non amare particolarmente le sceneggiature. “Servono solo ai finanziatori, per raccogliere soldi. Trovo noioso leggerle”. E anche per l’ultimo film Il cavallo di Torino ha detto: “È vero, abbiamo scritto la sceneggiatura per il dossier, ma giuro su Dio di non averla mai aperta per girare”. Ciò non significa che non esista una struttura drammaturgica che è scandita però da appunti di poche parole posti su cartoncini che lasciano molta libertà”.
E ha detto di sé: “Io non sono un cineasta, sono un essere umano che ha osservato il mondo e ha reagito”.
La seconda parte della giornata è stata dedicata al creatore del famoso dizionario: Paolo Mereghetti. Il quale ha spiegato come si è sviluppato negli anni fino a raggiungere le 35mila voci attuali. Interessante il lavoro di scrittura e riscrittura costante che, con i suoi collaboratori, fa di volta in volta. Dove i giudizi critici sono mutabili con l’età e con l’esperienza. E con Marco Zucchi, che lo intervistato, ha ricordato i 10 film che, a suo giudizio, sono i più belli di sempre. Tra questi La morte corre sul fiume di Charles Laughton, l’unico suo film per quello che fu anche un grande attore. “È magico, non riesco a resistere quando lo guardo e mi sono accorto che racconta una favola, ma al suo interno c’è un mondo intero, una storia concreta, e quando vedo film come questo mi viene spontaneo ringraziare chi li ha realizzati”.
Lo stesso Mereghetti ha anche evidenziato una certa tendenza in atto oggi: “vedo un’ossessione verso il realismo da parte dei registi, ma anche delle case di produzione come la Disney che ripropone sempre le stesse favole come Dumbo, ma non emoziona più perché inserisce sempre il concetto, implicito o esplicito, di rendere tutto veritiero”.
Infine Mereghetti ha difeso la carta e il suo dizionario. “Il fascino di un’opera del genere è che ti puoi perdere piacevolmente. Magari cerchi un film, ma poi – lì vicino – ne scopri un altro e poi un altro ancora. Solo un volume del genere può darti questa sensazione, l’online questa possibilità non te la offre”.