Era sicuramente il film più atteso. Megalopolis di Francis Ford Coppola, è un’opera mastodontica, enorme, molto ambiziosa, ma alla fine, a mio giudizio, non riuscita. Ed è un vero peccato vedere un’uscita di scena così poco esaltante di un grande della storia del cinema.

È un’epopea romana in un’America moderna e immaginaria, ma in piena decadenza. “È l’opera di una vita” l’ha definita il regista, presentando il film inserito nella competizione ufficiale.

Il film è ambientato a New York, in un futuro non molto lontano, ma i riferimenti all’antica Roma non mancano. A cominciare dai nomi dei vari protagonisti: Caesar Catalina interpretato da Adam Driver è un architetto rivoluzionario che vuole creare da zero una nuova metropoli (una nuova Roma). Catalina, oltre a innamorarsi della figlia del sindaco (Julia Cicero – Natahalie Emmanuel), ha però un nemico che si oppone al progetto: il sindaco Franklyn Cicero, un uomo tradizionalista e poco avvezzo ai cambiamenti. Ed è aiutato dal cortigiano di fiducia Clodio Pulcher personaggio giullaresco, ma profondamente spregiudicato (Shia Labeouf).

Megalopolis si ispira a La congiura di Catilina scritta da Gaio Sallustio Crispo e tratta di vizi e virtù di una società assuefatta dai giochi di potere e decadente a livello morale.

In altre parole, Megalopolis, parte dall’opera classica per superare il presente e sconfinare in un futuro immaginario poggiandosi su una grandissima ambizione. Sentimento che tuttavia non trova, nella realizzazione, uno sviluppo coerente, giustificato e comprensibile (almeno a una prima visione, magari rivedendolo l’opinione potrebbe mutare).

Anche i molti riferimenti alla storia del cinema (da Metropolis a Blade Runner, passando per il circo di Fellini e Chaplin per arrivare alle enunciazioni filosofiche di Matrix) sono individuabili, ma non contribuiscono ad amalgamare l’immaginario che ha creato Coppola. Se vogliamo è un’opera che crede nelle immagini in movimento, osa laddove pochi sono andati, ma è poco coesa, amalgamata, compatta.

I 120 milioni di dollari spesi di tasca propria (con la sua casa di produzione) si vedono tutti nella scenografia immaginifica. Tuttavia, la verbosità di molte scene, l’incomprensibilità di alcune azioni rendono il tutto deludente agli occhi di chi ha amato il Coppola tradizionale de Il padrino e Apocalypse Now. Ma anche di chi ha apprezzato i film più intimi come La conversazione e L’uomo della pioggia.

Concludo con un pensiero che mi è venuto in mente guardando Megalopolis. Quanto sono importanti i produttori che frenano l’ego di un artista? Io credo siano fondamentali perché, per lavoro, pensano anche al pubblico, a vendere il prodotto-film. Questo, purtroppo è quanto è successo a Megalopolis: come aveva riferito The Hollywood Reporter, il film avrebbe avuto delle serie difficoltà a trovare un distributore per la pellicola (nel frattempo l’ha trovato) e non ne dubitiamo.

Forse non è un’opera adatta a questi tempi; forse è avanti anni luce anche rispetto ai miei gusti personali, o forse ancora ha avuto il demerito di passare nelle mie visioni, 30 minuti dopo quel capolavoro di Wiseman che è Law and Order del 1969, sta di fatto che se devo dare un giudizio sincero e breve alla prima visione, è negativo.