Una premessa è d’obbligo. Amo i film claustrofobici e ricchi di simbolismo. E con Madre! Aronofsky mi ha senza dubbio accontentata.

La storia all’apparenza è semplice, poi si complica, infine esplode.

Un uomo e sua moglie. Una grande casa che lei sta ricostruendo per lui. Una coppia di visitatori inaspettati rompe l’intimità dell’isolamento. Ma gli intrusi si moltiplicano fino ad assumere catastrofiche dimensioni. E nulla sarà mai più come prima.

Il film si declina in un’infinita gamma di piani di lettura che si svelano man mano e acquistano significato con la scena finale del film. Un’esplosione di elementi che si supportano gli uni con gli altri a formare letteralmente la nascita del pensiero. Un pensiero inteso come idea, che cresce e diventa arte, ideale, lotta politica e perfino immagine religiosa. Che assume tutte le forme che l’uomo è in grado di realizzare attraverso il parto di un singolo istante.

Un preziosissimo dono, la scintilla dell’ispirazione, nata dall’amore, bellissima e fragile come ogni creatura appena venuta al mondo. Qualcosa che va protetto nell’intimità della propria dimora, la casa, ma che immancabilmente desidera essere poi condiviso. E l’idea, una volta regalata al mondo, non è più tua, diventa un inarrestabile catalizzatore della società.

Sono piani infiniti e sovrapposti. Il maschile e il femminile. La casa creatura. L’isolamento voluto e violato. Il concepimento istantaneo. La morte e la vita. La catastrofe sociale. Un processo che si ripete all’infinito, fintanto che un momento di passione sarà in grado di generare una forma di pensiero.

Lui, il Poeta incarnazione del verbo che si fa gesto, non poteva che essere interpretato da Javier Bardem, perfetto nel ruolo, così naturale. Come la donna, seducente e sprezzante che invade prepotente nel santuario della gestazione (interpretata da Michelle Pfeiffer), è il perfetto alter ego della giovane e delicata Jennifer Lawrence nei panni della Madre. Un equilibrio di volti e sensibilità ben costruiti nei quali riconoscersi o rinnegarsi.

Un film che non ha incontrato il favore del pubblico, negli USA gli hanno attribuito una F il punteggio minimo di CinemaScore, forse perché troppo ermetico. Anche la critica sembra non aver particolarmente gradito. Il New York Observer lo ha definito il peggior film dell’anno.

Un vero peccato. Perché sa attraversare le viscere e stimolare tutti i sensi. Un po’ come assaporare un dolce che una volta in bocca scatena mille profumi sulle papille gustative in fibrillazione. La stessa piacevolezza provata nel 2010 guardando Il cigno nero.