Non è solo un film Ma vie ma guele. È qualcosa di più. È una vita che se ne è andata, ma anche un grande lascito ai figli. La vita è quella della regista Sophie Fillières (già conosciuta a Locarno e presente come attrice anche nell’ultima Palma d’oro Anatomia di una caduta), morta nel 2023, mentre stava ultimando questo lavoro, poi terminato dai figli Agathe et Adam Bonitzer.

La pellicola è stata scelta quale apertura per la Quinzaine des cinéaste ed è stata una decisione doverosa, ma anche giusta e potente.

Agnès Jaoui è l’attrice che interpreta la protagonista Barbie (Barberie Bichette) e lo fa con forza e con il giusto dosaggio di carattere e innocenza. Il film mette in scena la crisi di una cinquantenne in tre atti: abbiamo una commedia, una tragedia e un’epifania che si intrecciano in modo interessante con i dialoghi funambolici e ironici della regista. E assistiamo anche a una sorta di testamento: è evidente (dai dettagli, dalla conoscenza e dalla malinconia) che la vita rappresentata sullo schermo è molto vicina a quella della regista.

Quello messo sullo schermo è un personaggio davvero stratificato. La donna ha due figli con i quali ha un rapporto conflittuale ed è in crisi emotiva. Va dallo psicologo, ma non riesce a cavarne nulla. Vive, ma allo stesso tempo si lascia anche vivere. Parla da sola e ha rapporti difficili con gli altri esseri umani. Non si ricorda di persone che ha amato e dice all’amica al telefono che sta uscendo dalla palestra, mentre ci sta andando. È un personaggio astruso che ha ancora voglia di scoprire qualcosa d’altro. E, infatti, un giorno parte per la Scozia alla ricerca di un nuovo mondo, un nuovo spazio. Non diciamo altro per non rovinare la sorpresa di chi vorrà vedere Ma vie ma guele.

Val la pena? Sì.

Il sentimento che lascia al termine della proiezione? La tenerezza.