La vita ordinaria di una giovane ragazza viene raccontata nell’arco di qualche giorno, tra il lavoro in fabbrica, l’intimità domestica vissuta da sola con l’unica compagnia del gatto, le avances poco riuscite di uno spasimante e una serie di telefonate misteriose da parte di una sedicente e poco chiara figura paterna verso cui la protagonista nutre un profondo desiderio di ricongiungimento. Il secondo lungometraggio finzionale di Silvia Luzi e Luca Bellino, coppia di registi particolarmente attiva nell’ambito documentario, si caratterizza per un’ottima interpretazione della bravissima Marianna Fontana, la protagonista di “Luce”, oltre che per una regia affascinante e una fotografia impeccabile. Purtroppo, forti problemi di sceneggiatura complicano questo quadro e frustrano l’esperienza spettatoriale, incapace di cogliere il significato di molti avvenimenti rappresentati sullo schermo, primo fra i quali quello centrale, cioè l’arrivo delle telefonate misteriose da parte del fantomatico padre, di cui non viene chiarita l’identità e nemmeno cosa porti la protagonista non solo ad accettare di parlare con un estraneo ma anche a bramare queste conversazioni. È un vero peccato perché, come si diceva poco sopra, la capacità della coppia registica è indiscussa: il lungometraggio è impreziosito da una magnifica fotografia soprattutto notturna, densa di luci sfocate e di chiaroscuri, oltre che da una regia composta da lunghi piani sequenza costituiti da inquadrature ravvicinate al viso e al mezzo busto dei personaggi ripresi. È un’estetica in bilico fra i Dardenne e il cinema del reale italiano contemporaneo, vincolata all’interpretazione dell’attore ripreso del quale, così facendo, vengono valorizzate ogni minima sfumatura espressiva, castrando volutamente ciò che lo circonda e portando in questo modo il fuori campo ad emergere prepotentemente e in negativo, come spazio che bussa con enorme baccano alle singole inquadrature e che, per questo, porta lo spettatore a focalizzare un’attenzione ancora maggiore all’interpretazione attoriale, unico filtro attraverso cui conoscere cosa accade intorno al personaggio.