Non bisogna snobbare i film svizzeri. Soprattutto i documentari, spesso e volentieri, ci regalano opere apprezzabili. Come è il caso de L’îlot di Tizian Büchi, presentato quest’anno a Vision du réel di Nyon (dove vinse anche un premio importante) e qui riproposto nella sezione Panorama Suisse.
Siamo a Losanna, in un quartiere poco conosciuto durante un’estate come tante altre. Seguiamo due guardiani di un fiume che attraversa il quartiere e con loro scopriamo il luogo, le persone che ci vivono e le storie che aleggiano misteriose.
L’indagine del regista è quella attorno al rapporto tra uomo e natura. E infatti, lungo tutta l’opera, si respira questo binomio e si concretizza in alcuni elementi concreti come il fiume, la vegetazione che viene protetta e i palazzi popolari che circondano questo luogo ancora incontaminato, che appunto sembra quasi un’isola in mezzo al cemento.
Basato sull’amicizia tra i due vigili (interpretati con naturalezza da Ammar Abdulkareem Khalef e Daniel Nkubu), il primo lungometraggio di Tizian Buchi si nutre dell’ambiguità tra costruzione narrativa e realismo documentaristico. Ed è questa un’altra chiave di lettura per entrare nel film: l’amicizia tra queste due persone così diverse e con storie agli antipodi (uno arriva dall’Africa nera e l’altro dall’Iraq) che si trovano nello stesso posto a svolgere lo stesso lavoro. Due destini che la vita ha fatto incontrare in un’altrove molto vicino e poco lontano.