Essere o non essere: questo è il dilemma, ovvero La tragedia di Amleto, principe di Danimarca di William Shakespeare.
Amleto è il giovane principe di Danimarca, afflitto per la recente morte del padre alla quale ha fatto seguito l’immediato matrimonio della madre con suo zio, succeduto al trono. Una notte Amleto riceve la visita dello spirito di suo padre, il quale gli dice di essere stato assassinato da suo zio il quale, già amante della madre, ha da sempre bramato corona e regina. Ora condannato a vagare come spirito poiché morto senza che i suoi peccati siano stati purgati, chiede al figlio di vendicarne l’odiosa morte. Amleto accetta e, fingendosi pazzo, progetta la vendetta.

Richard Burton, Christopher Plummer, Carmelo Bene, Kenneth Branagh, Laurence Olivier: non si contano le trasposizioni cinematografiche fatte nel corso degli anni e i nomi illustri che hanno indossato il personaggio del tribolato Amleto.
Due trasposizioni in particolare vale la pena indicare: la prima, e più recente, è quella di Branagh. Datato 1996, questo film è il primo tentativo, molto ambizioso e decisamente riuscito, di portare sullo schermo l’intero testo, per una durata complessiva di quattro ore. Con un cast di eccellenze, tra cui Derek Jacobi, Kate Winslet, Julie Christie e Richard Briers, se da una parte le interpretazioni sono assolutamente di prim’ordine e consente di poter godere dell’opera nella sua totalità dall’altra la messa in scena tende un po’ al ristagno, con un’impostazione talvolta un po’ maldestra, dove la macchina da presa (salvo brevi momenti) e unicamente testimone passivo e distaccato del susseguirsi della storia.
Bisogna tornare indietro di quasi cinquant’anni e mettere il tutto nelle ormai leggendarie mani di Laurence Olivier per godere di una trasposizione straordinaria. Con un taglio più classico, dall’interpretazione al contesto, Olivier ci offre una lettura avvolgente, dove l’occhio della macchina da presa diviene parte integrante della psiche del protagonista, contorcendosi nello spazio, infilandosi nelle menti, vibrando alla presenza di spiriti e ancestrali desideri e abbracciando la visione edipica dell’opera mettendo Eileen Herlie (all’epoca trentenne) ad interpretare la madre.

Buona notte, dolci principi.