Fare cinema è trovarsi sulla soglia tra disperazione e illuminazione, cercando e rifuggendo allo stesso tempo il senso, guardando il fondo ritrovandocisi dentro. Fare cinema è avere le carte sbagliate nella vita e sapere di non potere vincere, assicurandosi un posto fra coloro che possono anche perdere, con un senso di vittoria, in fondo, che è sempre difficile da spiegare. Lech Kowalski, nome che del punk già ne richiama i suoni, ha dato seguito al pellegrinaggio forzato proprio della sua storia famigliare trasferendosi in una New York che di pulito, splendente o benestante aveva ben poco, a guardarla bene.
La ricerca di continuità nei segni che possano circoscrivere il proprio vissuto ha portato Kowalski a mettere insieme un ambiente famigliare che potesse comprendere un passato doloroso, come in East of Paradise (2005), protagonista la madre deportata in Russia, in luoghi di scoperta e sperimentazione puri e non ancora chiari agli occhi di un autore che ha fatto dell’on the road le sue radici. Il percorso verso East of Paradise, sempre lontano dalla superficie normalizzata della realtà, ha visto il regista attraversare la scena punk degli anni settanta e ottanta, entrando nelle stanze del retroscena come un personaggio proprio del luogo, mai assente, completamente assorbito da quell’aura alcolica – se non altro – che ha reso tali personaggi quali Johnny Thunders, seguito per anni sulla scena e dietro le quinte, fra gli alti e i bassi di un confronto con la realtà – quella della scena underground – che per quanto tale era sempre piena di controversie. Lo sguardo nei confronti dei protagonisti della realtà raccontata nei documentari di Kowalski richiama un confronto diretto fra pari, in un linguaggio che si muove fra le mura del disagio e dell’irrequietezza di personaggi dannati e distruttivi ma, forse, proprio per questo, ricchi di fascino e di potenziale. Portare sullo schermo la ribellione come stato normale di sopravvivenza, laddove quest’ultima viene minacciata da un sistema sempre castrante, sempre limitante, in continua negazione di un sottosuolo dove una gran parte della popolazione – quali musicisti, tossicodipendenti, senzatetto – vive automaticamente relegata.