Esce in questi giorni nelle sale della Svizzera italiana Le Milieu de l’horizon di Delphine Lehericey con Laetitia Casta e coprodotto dalla svizzera Box Productions. Il film è stato nominato in quattro categorie ai premi del cinema svizzero (Miglior Film, Miglior Sceneggiatura – Johanne Giger, Migliore attore principale – Luc Bruchez, Miglio Musica – Nicolas Rabeus).

Una pellicola intensa che racconta di un’estate, quella del 1976. Sotto il sole implacabile, Gus abbandona l’infanzia. La natura si disintegra, i sentimenti s’inaspriscono, il nucleo familiare esplode: tutto si rompe e si sgretola, finché non succede l’impensabile. I temporali tanto attesi bagneranno una campagna esausta, portandosi via con loro tutto un mondo, quello dell’adolescenza, per entrare nell’età adulta.

Un film tutto da scoprire e per questo abbiamo intervistato la regista Delphine Lehericey.

Ci racconta come è nata l’idea?

La storia è una trasposizione di un romanzo di Roland Buty ed è stata adattata dalla mia sceneggiatrice Johanne Giger con la quale ho poi lavorato per la versione finale. Personalmente ho trovato molti aspetti che combaciavano con la mia storia personale. Per esempio ho visto aspetti della mia adolescenza e il fatto che sono sposata con una donna. Per me era abbastanza chiaro che su questo soggetto avevo qualcosa da raccontare nonostante la madre del protagonista sia una donna comunque lontana dalla mia vita perché sono una ragazza di città e non provengo dalla campagna come lei.

Il personaggio di Laetitia Casta (la madre di Gus) è piuttosto inusuale: vive in campagna ma ha un lato molto colto: fa parte di un cineclub e di un circolo di libri. Come l’ha costruito?

In effetti nel romanzo il personaggio è abbastanza differente e, per esempio, inizia che lei è già coinvolta con l’altra donna. Personalmente ho voluto darle un taglio diverso, ho studiato gli archivi delle femministe negli anni 70 e di come vivevano in campagna. Ho scoperto che, sovente, si incontravano nei club di lettura, ed erano molto solidali tra di loro, ridevano e passavano tempo insieme. E credo che fosse importante metterci questi ingredienti poiché danno alle protagoniste donne una certa indipendenza alla quale aspirano.

A un certo punto arriva la giovane donna (Clémence Poésy) che rompe l’equilibrio famigliare. Un aspetto che c’è solo nel film, ce lo spiega meglio?

È vero ho cambiato questo aspetto del romanzo. Nel libro la ragazza è presente sin da subito. Vive già nella fattoria e dal principio chiede al marito di affittarle una stanza. Ho trovato il tutto un po’ violento e quindi ho deciso di farla entrare gradualmente nella storia. Avevo però anche voglia di mostrare una relazione erotica e sensuale vivendola dal punto di vista del ragazzo. In questo senso c’è un doppio tradimento: la ragazza che piace al giovane adolescente, alla fine, bacia la madre. Inoltre il lato erotico della ragazza, della straniera, viene sviluppato dal fatto che ha già preso in mano la propria libertà e non ha più legami famigliari. Quella vita, appunto, a cui aspira la madre.

La luce molto chiara e il caldo soffocante sono in relazione con gli stati d’animo dei protagonisti?

In qualche modo credo di sì. La canicola e il paesaggio molto aperto e luminoso danno un senso di morte. Ma è una morte naturale, infatti nella natura si possono trovare aspetti molto belli e vitali, ma anche altri che sono letali. Il sole in questo caso brucia e ammazza. Un po’ come la passione che crea, ma distrugge allo stesso tempo un matrimonio e una famiglia. Il clima aiuta a distruggere le relazioni, a farle morire metaforicamente ed è molto organico sia nel libro sia nel film. Mi piaceva molto questo aspetto.

Anche gli animali sono in relazione con la morte?

Sì, gli animali hanno una presenza importante. La loro carne morta è presente sin dall’inizio del film. Ma del resto la carne ha anche una stretta relazione con la sessualità che il ragazzo scopre nei giornalini hard. Due aspetti della vita molto forti, eros e thanatos. Lui lascia l’infanzia con molte speranze ed è confrontato con un mondo che sta morendo. In questo senso vedo un legame anche con la carne degli animali che marcisce e quella delle donne che invece è erotica e viva.

Nei suoi precedenti lavori ha trattato il mondo degli adolescenti?

Sì questo mondo mi interessa molto e ho voglia di raccontarlo, in particolare mi piace mostrare il momento della scoperta del desiderio e allo stesso tempo il dolore di un’infanzia che non torna più. Un punto di rottura molto forte perché è un inizio ma allo stesso tempo anche una fine.

In che modo lo sguardo del ragazzo è importante?

Sicuramente è un punto focale sia per il punto di vista del film sia per il ritmo della narrazione. Quando il ragazzo vede la madre baciare l’altra donna è un momento topico in cui si concentrano diversi temi. E c’è un passo avanti molto importante nell’evoluzione della vicenda perché da lì in poi non ci si può più fermare. Ho voluto costruire il bacio, ma in generale tutta la vicenda, attraverso lo sguardo del ragazzo. In questo senso è una storia d’amore vissuta attraverso lo sguardo del ragazzo. Ed è molto interessante da filmare in quanto offre un preciso punto di vista.

Come mai una sorta di happy end?

Volevo sottolineare che malgrado le peggiori catastrofi che possono arrivare resiste la speranza di una relazione. Un messaggio positivo che ho voluto inserire io in quanto non era assente nel libro. Ma io credo che nel 2020 sia utile dire che con l’amore ci si può salvare e che tutto ciò si può trasmettere alle nuove generazioni.

La storia d’amore tra le due donne, negli anni 70, è un altro elemento chiave del film?

In effetti sì. Ho trovato molto coraggioso il personaggio della donna perché il tutto si svolge negli anni 70 e ancora oggi non mancano gli ostacoli nell’accettare questa situazione. Essere una madre e allo stesso tempo dichiarare la propria omosessualità non è ancora un fatto acquisito ovunque. Ed è uno degli aspetti che hanno fatto decidere Laetita Casta di accettare di lavorare sul film. Anche lei ha trovato molto coraggiosa questa scelta.

Come è stato lavorare con lei?

È stata una bella esperienza perché è una persona molto semplice e generosa. In particolare con il ragazzo che non era mai stato su un set. All’inizio avevo chiesto agli attori più grandi di creare una sorta di famiglia dove farlo sentire a proprio agio e sicuro. Devo dire che è stato molto naturale e bello da quel punto di vista, nessuno ha fatto capricci da star. Il tutto è durato un paio di mesi dopo un lungo periodo di preparazione. Ed eravamo molto isolati in un paese sperduto della Macedonia. Inoltre anche la meteo non ci ha aiutato molto, ma alla fine credo che il film sia stato contaminato in modo positivo da questi aspetti.