Ieri sera abbiamo visto The Nightingale di Jennifer Kent, unico film in concorso firmato da una regista donna. Scelta che si è rivelata problematica per questa edizione del festival, il primo dopo la nascita del movimento #MeToo, che si è posto sin dalla conferenza stampa come super partes. Ma è davvero così? Barbera ha dichiarato che se si arrivasse a scegliere i film per il genere del regista smetterebbe di fare il suo mestiere, e noi siamo d’accordo.

I film vanno valutati per la loro sostanza, non per i nomi che li accompagnano, e questo vale anche per le preferenze di paese di provenienza, amici di amici piuttosto che motivi razziali. Tutto ciò non è considerabile, e penso tutti siano d’accordo.

Se guardiamo il mondo del cinema da una distanza maggiore è palese che il motivo per cui poche registe donne partecipano ai festival (tutti, non solo Venezia) è perché in percentuale nel mondo vengono realizzati molti più film dagli uomini. Senza volerci addentrare in questioni di merito semplicemente non ci sono altrettante registe, e pochissime arrivano a livelli di fama e riconoscimenti pari a quelli degli uomini.

Detto ciò alla mostra forse non ci sono molte autrici donne, ma in compenso le protagoniste dei film sono tante e sono una più incredibile dell’altra. Ne citiamo solo alcune: la triade malefica di The Favourite Colman – Stone – Weisz, le protagoniste di ROMANatalie Portman e Raffey Cassidy inVox Lux, le streghe in Suspiria e l’inarrestabile protagonista di Sunset. Perciò pensiamo che comunque un’attenzione particolare si stia volgendo alle donne, magari con sguardi filtrati, ancora maschili, ma presenti.

Qui veniamo a The Nightingale. Un lavoro in cui traspare la presenza femminile dietro la macchina da presa, come avevamo visto già nel suo film precedente, The Babadook.
Il film si innesta nel filone del rape and revenge e segue una giovane protagonista (Aisling Franciosi) sulle tracce dei suoi aguzzini. La struttura ad inseguimento porta implacabile verso una direzione, ma la regista decide di rallentare il passo per permettere l’inserimento di diversi altri elementi, tra cui il conflitto tra aborigeni australiani e coloni inglesi e il tema dei prigionieri deportati. In sostanza il film ha ottimi presupposti e si svolge per la sua prima metà con maestria ed equilibrio, riuscendo sia a far tremare che a strappare qualche risata. Dopo di che il film purtroppo si dilunga in ripetizioni di espedienti narrativi e gioca tutte le carte possibili senza scegliere un solo potente finale, ma frammentandolo.

Quello che però ci è rimasto è la sensibilità con cui la regista ha apportato alcuni elementi chiari solo all’occhio femminile. Per tutto il film la protagonista è assediata dagli sguardi degli uomini. Prova i dolori del post parto e le perdite di latte e nonostante questo continua ad andare avanti, impavida. La regista mostra questi piccoli dettagli che però aiutano a definire lo stato di sofferenza in cui la protagonista vive in quanto donna, cosa che non sempre vediamo quando le donne sono rappresentate da un occhio maschile.

Non solo nel concorso, ma anche nella altre sezioni ci sono numerosi lavori con protagoniste donne. Tra questi uno che ci ha colpito è Charlie Says di Mary Harron. Qui la regista ha ricostruito le vicende della famiglia Manson scegliendo il punto di vista di tre seguaci, autrici poi dei sanguinosi omicidi che hanno reso famosa la storia. Il film è un prodotto molto classico, lineare, con flashback a dissolvenza, ma la storia è costruita tutta da un punto di vista femminile che osserva la figura maschile di Manson e ne restituisce la sua interpretazione.

Questa edizione della mostra del cinema resterà contrassegnata dalle sue figure femminili, che siamo certe saranno le protagoniste della serata conclusiva l’8 settembre.

Scritto da Arianna Vietina ed Elisa Biagiarelli (originariamente pubblicato su: http://peppermindsblog.it/venezia-75-7-le-donne-ci-sono-eccome/  fonte immagine: filmscoop.it)