Si ride molto, ma si riflette anche nel film di Quentin Dupieux (che a Locarno aveva presentato lo splendido Yannick), scelto, giustamente, per aprire questa edizione del Festival di Cannes.
Il suo tredicesimo lungometraggio Le Duxième Acte prosegue e approfondisce il tema della verità nell’arte e questa volta viene combinato al ruolo degli attori. E che attori: con un cast composto da Léa Seydoux, Vincent Lindon, Louis Garrel, Raphaël Quenard et Manuel Guillot. Quattro stelle e un esordiente. Ed è proprio a quest’ultimo che il regista francese consegna le chiavi del film. Con lui si apre e si chiude l’opera. Ma non sveliamo nulla della trama e lasciamo agli spettatori il gusto (perché è davvero gustoso) di godersi il film.
Diciamo solo due o tre parole per inquadrarlo. Siamo in un luogo indefinito, ci sono due coppie che camminano e parlano. A poco a poco comprendiamo che stanno girando un film e stanno recitando un ruolo. Ma è davvero così? Oppure non recitano davvero? E ancora: chi dice la verità? Quale verità viene detta e quali, invece, le menzogne? Tutte domande che vengono poste allo spettatore che dovrà quindi mettersi in gioco con gli attori.
A livello formale è molto interessante ed estremamente radicale il modo di girare di Dupieux. Nel film utilizza, infatti, delle lunghissime carrellate senza stacchi per filmare le due coppie che camminano. In modo da mettere in evidenza la recitazione: la sua verità e la maschera che nasconde altro. Inoltre, il film è geometrico nella sua struttura narrativa, un po’ alla Kubrick di Eyes Wide Shut se vogliamo. Abbiamo una prima parte con le coppie di attori che camminano, un intermezzo nel quale si trovano tutti insieme e una seconda parte nella quale ritroviamo le coppie che riprendono a camminare. A pensarci bene, è quasi la metafora di un film: con un primo tempo, una pausa e un secondo tempo.
Ci sarebbe tanto altro da dire, sull’ironia, sul gioco e sul dramma. Ma è un’opera che, come abbiamo detto all’inizio, va vista e gustata senza lasciarsi condizionare dagli altrui pensieri.
p.s. Dupieux analizza a modo suo anche un ultimo, moderno, tema: l’intelligenza artificiale.