Le sorelle Alice e Alba Rohrwacher (regista la prima e attrice la seconda) hanno il merito di portare al cinema italiano opere particolari e originali. È il caso di Lazzaro Felice – il film presentato a Cannes lo scorso maggio e vincitore della Palma per la miglior sceneggiatura – che arriva nelle nostre sale in queste settimane autunnali.
La pellicola racconta di una strana comunità, guidata, o meglio schiavizzata, dalla Marchesa Alfonsina de Luna. Di sua proprietà una piantagione di tabacco e una cinquantina di agricoltori. Schiavi moderni che lavorano dalla mattina alla sera senza ricevere altro in cambio se non la possibilità di vivere sui suoi terreni. Una situazione assurda e medievale, ma che prende spunto da un fatto di cronaca che colpì la regista. «Gli esseri umani sono come bestie. Liberarli vuol dire renderli consci della propria condizione di schiavitù», risuona sicura la voce e il pensiero della marchesa nel film.
Quando finalmente, nel 1982, tutti gli accordi di mezzadria ancora in vigore sono convertiti in concessioni o impieghi remunerati, la marchesa fa come se nulla fosse. In mezzo a quella comunità c’è Lazzaro, un ragazzo orfano, ma sempre felice. Svolge i mille lavori quotidiani con generosità e senza mai lamentarsi. Lazzaro fa amicizia con Tancredi, il figlio della Marchesa. Questo rapporto lo porta a lasciare la comunità per scoprire la città.
La prima parte del film è un percorso verso la libertà, una meta lontana ma che si fa via via sempre più strada nella vita di Lazzaro mentre la seconda (meno compatta visivamente) è un viaggio verso la comprensione di un nuovo stato d’animo, un’emozione dettata proprio dal nuovo che si fa strada in Lazzaro. Ma l’atteggiamento del giovane non cambia molto, la sua bontà, e forse anche il suo non eccelso acume, lo porta ad attraversare campagna e città con lo stesso sguardo pulito. C’è chi pensa che Lazzaro cammini felice in mezzo a tanti inganni portando la sua verità senza giudicare nessuno, una sorta di archetipo dell’innocenza e della purezza. E c’è chi, invece, pensa che questo personaggio sia solo un semplice pretesto per parlare dei nostri difetti: l’egoismo, la cupidigia, l’avarizia e la prepotenza. Un percorso creativo, quello della regista Alice, che richiede attenzione. Non è da tutti e non è per tutti. Sono strade difficili e perfino impervie. Una cultura del cinema italiano classico e una consapevolezza delle proprie radici, che fan ben sperare anche per i prossimi lavori e che in questo film si fanno notare con gentilezza e garbo.
L’augurio è quello di vedere altre opere ancora più originali. Verso la purezza di un linguaggio cinematografico, oggi ancora abbozzato e un po’ acerbo e con maggiore consapevolezza dei rischi che sta correndo in questa ricerca di sentimenti puri e netti. Ma che forse, alla fine, così puri e netti non sono e non saranno mai.