Se il bellissimo documentario di Frédérick Wiseman del 1969 è tra le opere che si ricorderanno di questa edizione di Cannes significa che qualche cosa non è andato per il verso giusto. Magari è il cinema mondiale in crisi, o forse i film scelti nel concorso principale sono buoni, ma non eccezionali come lo erano stati, per esempio, la scorsa edizione.
Sulla Croisette è stata mostrata una versione restaurata e lo stesso regista (classe 1930) era presente per introdurre la visione.
Siamo a Kansas City e seguiamo le gesta della polizia cittadina nel lavoro quotidiano per far rispettare la legge. Con il suo stile inconfondibile basato sulle riprese in diretta, il regista offre – in apparenza – uno sguardo neutro sui fatti. Eppure, è ben cosciente che la presenza della camera influenza il comportamento delle persone e soprattutto degli agenti. Come ha riferito di recente: “in una scena un poliziotto sfonda una porta di un appartamento dove vive una prostituta, prima di strangolarla. Se pensava di fare qualcosa di male, perché l’avrebbe fatto davanti la camera? Mi potete rispondere che se non ci fosse stata probabilmente l’avrebbe potuta uccidere. Ma è una reazione che sa di cliché. Io penso che l’abbia fatto perché era una prostituta e aveva picchiato un poliziotto in precedenza che aveva cercato di darle una lezione”.
In queste poche parole dell’autore troviamo tutto il conflitto sul quale si basa il cinema di Wiseman e cioè gli interrogativi su che cosa è la verità e che cosa invece è la fiction. Il tutto, ovviamente, negli Stati Uniti, il luogo sul quale ha posto sempre la sua camera per descriverne i pregi e i difetti, le contraddizioni e le fragilità.
È un cinema di grande impatto visivo il suo, che non fa sconti a nessuno, ma ritrae dal vivo e poi, con il montaggio, costruisce una propria narrazione. Come spiega bene l’Enciclopedia Treccani: lui abolisce “le seduzioni dello sguardo diretto, della suspense o delle enunciazioni in prima persona, in quanto ha messo a punto una struttura comunicativa e visiva nella quale viene lasciato allo spettatore il compito di formulare proprie ipotesi e giudizi personali su quanto vede sullo schermo”. È quindi lo spettatore a entrare in gioco direttamente. Wiseman gli offre il film, ovviamente montato e quindi con un preciso punto di vista, e lui lo giudica. Un meccanismo che può sicuramente seguire anche in questo splendido bianco e nero del 1969, dove legge e ordine sono i due aspetti che gli agenti cercano di far rispettare. In modo troppo violento? Agli spettatori il giudizio finale.
Da notare che il restauro è stato possibile anche grazie all’aiuto di Steven Spielberg.