Classe 1977 Laura Bispuri è una giovane regista italiana che con la sua voce originale cerca di portare qualcosa di nuovo al cinema italiano. Possiede infatti un modo di girare all’apparenza sporco e improvvisato, ma che in realtà è molto studiato e preparato. Come ha spiegato la stessa regista in occasione de L’immagine e la parola del Locarno Festival, il lavoro di preparazione è lungo e rigoroso. Un periodo fatto di scrittura e riscrittura, di viaggi e contatti con le realtà del luogo in cui intende girare.

Nata a Roma ha al suo attivo tre cortometraggi e due film. La sua carriera è iniziata nel 2010 quando ha girato Passing Time, che ha vinto il David di Donatello come migliore cortometraggio e ha fatto parte della selezione The Short Film Golden Nights dall’Académie des César di Parigi. L’anno seguente ha poi realizzato il corto Biondina, con il quale ha vinto il Nastro d’argento come talento emergente dell’anno. È nel 2015 che è passata alla forma più lunga con Vergine giurata, selezionata nel concorso principale al Festival di Berlino. Quella pellicola vede protagonista Alba Rohrwacher ed tratta da un romanzo di Elvira Dones.
A Locarno Laura Bispuri ha presentato il suo secondo lungometraggio: Figlia mia, anch’esso in concorso a Berlino quest’anno, che sarà in programmazione nelle nostre sale dall’inizio di maggio.

Il film gira attorno a tre protagoniste: Vittoria (10 anni), Tina (la madre adottiva interpretata da Valeria Golino) e Angelica (la madre biologica impersonificata ancora da Alba Rohwacher). Vittoria vive da sempre con la madre adottiva perché Angelica non è in grado di badare a lei. Ha una vita al limite, tra uomini occasionali e alcol, alla ricerca continua di una stabilità. Invece Tina è sposata, ha una stabilità sociale e fa di tutto per cercare di proteggere la ragazzina, fino a quasi a costringerla a isolarla dal mondo, come fosse sotto una campana di vetro. Fino a non farla vivere.
Iniziamo da una domanda generale, che cosa è il cinema per lei? Che cosa la colpisce in un film?
Da spettatrice, ma di conseguenza anche da autrice, resto molto stupita quando un film riesce a spostarmi. Quando cioè il cinema riesce a farmi vivere un’emozione, ma anche a farmi pensare, a porgermi domande. Ecco, coinvolgere la riflessione e l’emozione per me significa ottenere un grande risultato.

Figlia mia parla di donne. In che modo?
Desideravo raccontare la maternità e la scelta era per forza centrata sulle donne. Volevo raccontarla dal punto di vista delle due madri e della figlia. Si è così creato un triangolo sentimentale. Sono rimasta stupida dal fatto che ciò ha destato stupore nel pubblico e nei critici. A dire il vero non ho ben capito il perché. Forse, in questo momento storico, il cinema al femminile fa più notizia di un tempo. Comunque non voglio strumentalizzare un discorso che mi appartiene da tanti anni. In tutti i miei lavori c’è sempre stata attenzione ai personaggi femminili perché mi incuriosiscono di più e li comprendo. Penso che attraverso di loro riesco ad approfondire meglio i temi che mi interessano. Oltre a ciò la mia è anche una presa di posizione politica perché credo che nella storia del cinema spesso i personaggi femminili siano stati messi in secondo piano rispetto alle figure maschili. Ero un po’ studa di vedere donne che erano solo amanti, figlie, madri ecc del protagonista. Credo, invece, sia interessante raccontarle.

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