Il tema della violenza mi appartiene. Lo conosco bene, e continuo ad esplorarlo lavorando a stretto contatto con chi si è macchiato di violenza sessuale. Una vittima che dialoga con gli aggressori: è questa la mia cifra. È naturale che mi cali con grande interesse e curiosità in un film che tratta di violenza. Ci sono infinite sfaccettature che possono essere raccontate e occorre grande sensibilità per riuscire a condurre lo spettatore nei meandri più viscerali della violenza.
Tra i molti film in concorso per la sezione internazionale ci sono due pellicole che mi hanno particolarmente colpita. Il primo è il film Stone Turtle del regista malesiano Ming Jin Woo, il secondo è l’opera della regista francese Patricia Mazuy intitolata Bowling Saturne. Uno mi ha conquistata per intelligenza e originalità di racconto e l’altro per apatia e incapacità di comprendere la violenza.

Ed è proprio dal peggiore che parto per raccontare come sia facile cadere nella trappola del cliché. La regista Patricia Mazuy dichiara di voler giocare con lo stereotipo per proporre al pubblico la genesi della violenza, il sottile passaggio dal desiderio all’atto. E si interroga, cito, su come raccontare la violenza. E me lo sono chiesta anche io nel guardare Bowling Saturne. Mi sono chiesta, sopra ogni cosa, perché fare un film che ne banalizzi in maniera così grossolana le implicazioni psicologiche, le dinamiche interiori e soprattutto i gesti dei protagonisti. Non ce ne sono già abbastanza di film giocati su luoghi comuni?
Il risultato è un noir senza tensione, privo di spunti o di crescendo narrativo. Un film piatto che si limita a sfiorare tutto superficialmente. Perfino il guizzo della caccia come simbolo del retaggio familiare non è adeguatamente sviluppato. Nella storia dei due fratelli Armand e Guillaume, orfani di un padre cacciatore e violento, il passaggio della pesante eredità è solo accennato e risolto in maniera scontata. La giacca indossata in segno di accettazione di un destino che pare segnato, l’appartamento ereditato dal padre dove vengono consumati i delitti, la sala da bowling, anche questa appartenuta al genitore, cupo terreno di caccia. La notte ambientazione del male. Perfino i compari cacciatori del padre defunto, ingombranti e invadenti, sono rozza narrazione. Ma quello che più disarma è l’escalation che porta il giovane Armand a trasformare la sua rabbia in sessualità selvaggia fino a divenire bisogno di uccidere. Patricia Mazuy risolve questa complessa dinamica psicologica in tre scene a dir poco prevedibili come a dire: la violenza si vende un tanto al chilo, il pubblico è di bocca buona.

©Greenlight Pictures

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