Siamo alle porte (dal 5 al 15 agosto) di un’edizione storica e particolare del Festival di Locarno. A causa della pandemia buona parte si terrà online, ma non mancheranno le proiezioni nelle sale del Locarnese. Abbiamo incontrato la direttrice Lili Hinstin alla vigilia della manifestazione. Ecco quello che ci ha detto.
Come definirebbe questa particolare edizione del festival?
È un’edizione costruita in modo diverso dal solito, un po’ come una millefogli. Perché ci siamo adeguati alle decisioni del Consiglio federale relative agli assembramenti e queste sono cambiate di mese in mese. Infatti, all’inizio, si pensava a un festival solo digitale, poi c’è stata la decisione di riaprire le sale cinematografiche e quindi c’è stata la possibilità di mostrare alcuni film anche in presenza.
Non abbiamo avuto modo di fare un pensiero globale del programma, come capita di solito, ma ci siamo adattati a una situazione particolare e in costante cambiamento. Ora che siamo in grado di prendere distanza e guardare il tutto nel suo insieme, devo dire che l’edificio che abbiamo costruito mi soddisfa perché riflette lo spirito del festival di Locarno. Inoltre proponiamo al pubblico la stessa diversità di generi, provenienza, ecc. degli altri anni. E questo è importante. Ci sarà una parte legata ai film storici, ma non mancheranno le novità nelle diverse sezioni, come il concorso dei pardi di domani. A mio parere me la novità produttiva, la première, non è il criterio che ritengo più importante per la selezione dei film in un festival. Per me l’aspetto rilevante è la scoperta, ed essa può arrivare da film di qualsiasi epoca.
Sappiamo che cosa mancherà (a partire dalla Piazza Grande, ma non solo), ma che cosa offre in più questa edizione rispetto alle altre?
Questo festival offre una risposta alla crisi con la sezione principale che abbiamo chiamato The Films After Tomorrow. Si tratta di un aiuto concreto a progetti fermi a causa della pandemia e un dispositivo di sostegno alla sale cinematografiche indipendenti svizzere che programmano cinema d’autore. Inoltre, attraverso il sito, ogni nuova visione è il pretesto per far presente allo spettatore un’urgenza economica grave del settore; ecco perché proponiamo a chi vede un film un contributo economico libero. Inoltre uno sponsor del festival acquisterà 12mila biglietti per quelle sale svizzere che rappresentano la diversità geografica e li distribuirà, attraverso diversi canali. È un modo per cercare di pensare agli altri e meno a sé stessi. Altra novità che trovo molto interessante è il fatto che abbiamo guardato alla storia del festival, cosa che di solito non è mai possibile fare per mancanza di tempo e spazio. Ancora più interessante è il fatto che i film storici siano scelti dai registi che abbiamo selezionato per il concorso: è una sorta di cerchio virtuoso che si chiude.
Venezia, tra un mese si terrà in modo più o meno normale. Non crede che anche per Locarno si sarebbe potuto fare di più? Siete stati troppo timorosi? O è il Consiglio federale a esserlo stato?
Noi e il direttore di Venezia Barbera abbiamo deciso più o meno negli stessi tempi, ma sono situazioni diverse. La Mostra di Venezia ha avuto, dietro di sé, una forte volontà politica che ha spinto per aver luogo ed esserci. Se un Governo decide in quel senso l’evento si può fare. Mentre Locarno ha seguito le direttive della Confederazione che non permettono un assembramento con più di 1.000 persone, mentre in sala il numero massimo è 300 persone.
È quindi mancata la volontà politica?
Non la vedo così. Io credo che il Consiglio federale abbia dato la priorità alla salute pubblica, mentre in Italia si sia scelto l’evento. Ma non giudico una scelta politica, non riguarda la funzione del direttore di un festival. Con la nostra decisione Locarno perde sì qualcosa, ma allo stesso tempo non credo sarebbe stato possibile fare altrimenti. Infatti, nell’attuale situazione, non facciamo arrivare nessun regista dall’estero, non posso prendermi questa responsabilità.
Personalmente, comunque, andrò a Venezia, perché sono stata invitata dal direttore alla serata di apertura: intende raggruppare i direttori dei grandi festival in un momento simbolico.
Restando su questa ultima considerazione la pandemia ha avvicinato i vari festival?
La collaborazione tra i vari festival era già buona prima del covid-19, ma è vero che è aumentata. Ci scambiamo frequentemente dubbi e parliamo delle angosce che solo noi direttori possiamo conoscere. È una specie di catarsi nostra. Per esempio ci scambiamo semplici messaggi o telefonate di solidarietà. L’ho fatto con Cannes e Karlovy Vary e altri l’hanno fatto con me quando in primavera abbiamo preso le nostre decisioni. In generale esiste una bella solidarietà tra colleghi.
La retrospettiva dedicata alla regista e attrice Kinuyo Tanaka è stata posticipata al 2021. Come mai questa scelta?
Perché merita un lancio internazionale e desidero che la possano vedere i vari programmatori internazionali e un pubblico numeroso.
Tra le costanti che non sono cambiate quest’anno Open Doors, il concorso dei pardini e anche le conferenze con Variety (Stepln). Volete in qualche modo dare una continuità?
Non direi che è per segnare una continuità, ma sono film che riteniamo possano beneficiare della piattaforma online. Locarno ha molte sezioni e alcune di queste possono essere viste anche sul web e non perdono di valore.
Come giudica la scelta di Cannes di attribuire un label ai film che aveva selezionato?
È stata decisa in concerto con distributori e produttori che in questo modo possono sostenere i film in giro nel mondo. Chi ha accettato il label ha ritenuto che ciò possa aiutare il film a farsi conoscere.
Quali sono le sue aspettative (qualitative e quantitative) di questa edizione?
Sono contenta del programma e ci sono molti film da conoscere e apprezzare. Sono soprattutto contenta di presentarlo al pubblico e spero che la risposta sarà buona. In termini quantitativi posso solo dire che è un’incognita totale. Siamo in agosto e il virus circola ancora e molti hanno ancora timore di recarsi in sala.
Presentare dei film a un pubblico è sempre un incontro che può andare bene o meno e sapere che succede qualcosa tra una persona e un’opera d’arte è l’unica cosa che alla fine conta.