Partito il 15 aprile, Visions du Réel, (il Festival internazionale del cinema di Nyon), prosegue fino al 25 aprile. Un evento visibile online, ma anche in presenza. Infatti, da lunedì, ci sarà la possibilità di poter tornare nelle sale. Con la direttrice artistica Emilie Bujès abbiamo fatto il punto della situazione partendo proprio da questa bella notizia.

Signora direttrice, partiamo dalla stretta attualità, da qualche giorno il Consiglio federale ha dato via libera all’apertura dei cinema e voi siete i primi ad approfittarne. Con quali sentimenti?

Per noi è davvero essenziale aprire le sale e questa notizia è stata molto importante. Dopo un’edizione online come quella che abbiamo vissuto nel 2020 era necessario cercare di tornare a una forma in presenza, anche con sole 50 persone. L’energia collettiva che trasmette una sale cinematografica fa bene ai film e soprattutto a quelli che presentiamo a Nyon che spesso sono in prima mondiale. Senza scordare gli scambi che avvengono tra il pubblico e i critici. Siamo quindi molto contenti di questa apertura.

Detto ciò, l’edizione dello scorso anno è stata comunque molto interessante e arricchente. Ha avuto un buon successo e ci ha permesso di esplorare un altro modo di organizzare un festival.

Questa è la 52esizione. Qual è la visione di quest’anno?

Manteniamo il nostro credo artistico. Per noi è importante fare una selezione sulla base dei film iscritti che sono stati moltissimi. Cercare i migliori prodotti e cioè degli sguardi personali, sensibili e con approcci originali. A noi interessano più gli approcci, gli sguardi, quindi gli autori e meno i soggetti trattati. Quest’anno ci siamo resi conto che nella selezione c’era una presenza maggiore di film di fantascienza, opere legate alla distopia e a temi post-apocalittici. Quasi a voler testimoniare uno sguardo dei registi, prima della pandemia, su un mondo diverso da quello conosciuto finora. Una sorta di premonizione…

Quest’anno erano presenti film da 58 Paesi. Ci sono delle sorprese in questo senso?

Devo dire e con una certa sorpresa che la Cina è tornata in modo significativo. Abbiamo ricevuto diversi film e ne sono contenta perché sappiamo molto bene che non è affatto semplice per i registi cinesi far conoscere, fuori dai loro confini, le loro opere. Ma in generale ci accorgiamo che più viaggiamo in un Paese più riceviamo, negli anni seguenti, film di quella regione.

Quest’anno sono presenti tre personalità importanti: Pietro Marcello, Emmanuel Carrère e Tatiana Huezo. Ce li presenta?

Ogni anno vogliamo avere tre registi che raccontano il loro modo di far film. Storie diverse con approcci differenti. Carrère era da tempo che lo volevo a Nyon; non solo per il suo stretto rapporto al cinema, ma anche perché trovo che nella sua scrittura ci sia una vicinanza al cinema del reale come lo intendiamo noi. Credo che sia interessante, per un festival come il nostro, allargare il discorso a riflettere sulla scrittura della realtà.

Ammiro molto Pietro Marcello e credo che abbia un approccio molto intuitivo ma anche molto grazioso, forse legato alla sua esperienza da autodidatta. Ha uno sguardo molto personale che gli permette di portare quanto che sta raccontando a un livello superiore.

Mentre Tatiana Huezo è una regista con la quale noi abbiamo un legame molto stretto da parecchio tempo. Ricordo, infatti, che qui presentò il suo primo lungometraggio con la quale vinse un premio. Ha una sensibilità incredibile e mi sembra originale il suo approccio politico (la denuncia della violenza nell’America del Sud) coniugato a una forma unica, dove la dimensione visiva e sonora funzionano in modo separato. Tutti e tre hanno una visione molto onesta con la materia cinematografica o letteraria.

E la presenza della Svizzera in questa edizione?

C’è un bel gruppo di opere svizzere, sparse nelle varie sezioni, mentre quest’anno il Ticino è purtroppo assente. E mi dispiace perché lo scorso anno erano presenti diverse opere ticinesi interessanti. Comunque organizziamo, all’interno dell’Industry, diversi incontri tra la Svizzera e l’Italia e in questo contesto sono presenti diversi produttori ticinesi che stanno trattando i vari film.

In generale mi sembra che quest’anno a differenza del passato, nelle produzioni elvetiche, sia presente un certo equilibrio tra opere realizzate all’estero o che guardano fuori dai confini e film girati in Svizzera e che parlano di noi.

 

foto: Copyright_Sébastien Agnetti