Il regista losannese Lionel Baier ha presentato alla Quinzaine des réalisateurs il suo ultimo lavoro intitolato La Dérive des continents (au sud). Questo è il terzo lavoro sulla costruzione dell’Europa, attraverso i ttro punti cardinali e partita nel 2006 con Comme des voleurs (à l’est) e proseguita nel 2013 con Les Grandes Ondes (à l’ouest).
Ambientato in Sicilia nel 2020 segue le vicende di Nathalie Adler, in missione per l’Ue nell’isola italiana, ed è tra gli incaricati di organizzare la visita de Macron et Merkel in un campo di migranti. Il tema principale è dunque la migrazione che come sappiamo, fino a pochi mesi or sono, arrivava appunto da sud. Attorno a questo perno narrativo ruotano altre tematiche come quello del rapporto genitori-figli (qui esplicitato dal difficile rapporto tra Nathalie e il figlio) e l’amore in tutte le sue forme.
È un lavoro molto godibile, anche grazie alla giusta dose di leggerezza (malgrado il tema forte e drammatico) che l’autore inietta nelle varie scene. Ma, qua e là, Baier puntella la pellicola anche di una certa dose drammatica: emblematica, in questo senso, una delle scene finali con il discorso pronunciato da una ragazza migrante che lasciamo scoprire agli spettatori. Oltre alla leggerezza e all’ironia Baier possiede una qualità piuttosto rara che è quella della poesia. Una delicatezza dello sguardo verso il materiale filmato accompagnata da un’originalità e un’inventiva visiva interessante (che per alcuni versi ci ricorda quella di Xavier Dolan).
Qualche piccola pecca nella tensione narrativa che non sempre è altissima e qualche luogo comune sull’Italia (a cominciare dall’ennesima cantata di Bella Ciao e dalla passione italiana per il cibo) non sminuisce la qualità di un lavoro interessante.
Così come interessante è la scena girata a Gibellina dove ci fu un terremoto che distrusse il paese e dove l’artista Alberto Burri costruì un monumento, ricoprendo le macerie di cemento e lasciando libere le vie e vicoli della vecchia città. Un monumento che assomiglia molto a quello visibile a Berlino per ricordare l’Olocausto. E come dice in proposito il regista: “Lo visitai nel 2016 e rimasi colpito dalla solennità e dalla tranquillità di quel luogo. Ci parla della fragilità delle nostre costruzioni, siano esse delle case o delle nazioni, di fronte alla tragicità della storia”.
Foto: Simona Pampallona