Alice Rohrwacher ha realizzato il suo film più bello e riuscito: La chimera. Presentato in concorso a Cannes uscirà in sala tra qualche mese. Ma possiamo già anticipare qualche aspetto interessante che speriamo faccia venir voglia di andarlo a vedere.
Siamo negli anni 80 nel Centro Italia, nella regione dove, secoli prima, vivevano gli Etruschi (tra Tarquinia, Cerveteri, Blera, Sorano e Pitigliano).
Un gruppo di paesani campano facendo, illegalmente, i tombaroli. Saccheggiano cioè le tombe etrusche per vendere gli oggetti a un mercante d’arte. Questo è il contorno ed è già interessante perché non sono stati in molti a parlare di questo tema. Ma in Rohrwacher la bellezza sta soprattutto altrove. In particolare, nella creazione di un mondo reale, di un ambiente popolare e decadente al quale abbina un tocco magico e un alone d’inspiegabile bellezza.
Il punto di riferimento della banda di tombaroli è Arthur, un inglese: lo straniero che con i suoi poteri da rabdomante riesce a localizzare le tombe. Un personaggio concreto nel suo essere al servizio di un furto, ma allo stesso tempo anche etereo e fuori dalle dinamiche affariste. Non per nulla è legato a Flora (magnifica Isabella Rossellini), un’anziana donne del paese che vede in lui una persona che ha bisogno di protezione e di una casa.
Una nota di merito va anche al lavoro sul sonoro. Interessante soprattutto il mix tra Vasco Rossi con Vado al Massimo, le musiche elettroniche che ricordano gli anni 80 e i canti folcloristici di quelle zone che si perdono nella notte dei tempi e che forse hanno qualche aggancio all’epoca etrusca. Una colonna sonora che implica, in modo implicito, un continuo spostamento temporale ne vari secoli.
Parlando di tombe, i valori simbolici si sprecano. La Chimera è infatti giocato sulla verticalità e l’orizzontalità degli spazi. Se da un lato gli scavi e le tombe sono ovviamente le protagoniste, d’altro lato il territorio offre mare e colline dove perdersi e ritrovarsi. E soprattutto su quel territorio sorgono due edifici che si contrappongono: una nuova azienda elettrica (quella di Civitavecchia) e una vecchia stazione abbandonata nella quale iniziare una nuova vita.
Mi permetto un paragone con il precedente Lazzaro Felice (premio della sceneggiatura nel 2018 a Cannes). In quel film, sicuramente altrettanto interessante, la seconda parte era però meno riuscita e più “leggera”. Invece qui tutto il film ha una sua forte compattezza. La narrazione non ha cedimenti, l’alone magico che avvolge l’opera rappresentato anche dall’inglese fa il resto. E come dice la stessa regista: “Il film inizia immerso nella luce invernale, poi viene inondato dal sole estivo della Maremma. Un viaggio attraverso le epoche, le stagioni e le civiltà, fino al complesso, a volte drammatico e a volte gioioso, che è il nostro passato”.
Da segnalare che La Chimera è stato girato anche in parte in Svizzera ed è coprodotto da Amka Films e dalla RSI, con il sostegno dell’Ufficio federale della cultura.