di Antonello Morea

Per chi non fosse ancora riuscito a vedere Joker, premiato con standing ovation di otto minuti a Venezia lo scorso settembre, c’è tempo e modo di farlo fino a Natale e forse oltre. Nonostante le polemiche su alcune scene che incitano alla violenza, infatti, la pellicola continua a mietere successi d’incassi negli Stati Uniti e figura senza dubbio nei papabili Oscar del prossimo febbraio.

La storia è ambientata negli anni ’80 e narra le vicissitudini di un clown di bruciante insuccesso che diverrà il cattivo per eccellenza della città di Batman, Gotham City. Todd Phillips, il regista, gioca con schietta e diretta delicatezza l’asso della psicologia e della narrazione scorrevole e sapiente, inserendosi di diritto nelle prossime antologie dei classici.

Il nemico numero uno di Batman, magistralmente interpretato da Joaquin Phoenix, viene analizzato a partire dal rapporto intricato e controverso con la madre: è da questo aspetto inusualmente “familiare” che Joker fa la sua graduale entrata nei meandri della follia. “All’inizio Arthur cerca in ogni modo di essere accettato dagli altri. Accudisce la madre e ama il lavoro da pagliaccio in ospedale, con i bambini. Del resto solo loro lo comprendono, non hanno sviluppato i filtri, le barriere che imparano a mettere gli adulti contro chi è diverso, emarginato. Gotham è un microcosmo, una versione in piccolo di quel che succede nelle nostre società. Un mio amico ha visto il film l’altra sera e mi ha detto: ‘È come se Gotham City fosse il mondo di internet”, dice il regista in un’intervista apparsa su La Repubbilca lo scorso 8 settembre.

Ne viene fuori la creazione di un personaggio che non ci saremmo aspettati emergere in questo modo dagli studi della DC Comics americana. Gestita con brillante e professionale naturalezza, Phillips Todd  crea una figura umana affascinante e delirante, e il modo in cui lo fa – così pulito e cinematograficamente riuscito – è la cartina di tornasole attraverso cui leggere e giudicare tutta la pellicola.

Un altro aspetto innovativo rispetto al vecchio Joker di Tim Burton (1989) o di Christopher Nolan (2005, 2008, 2012) è quello squisitamente legato ai costumi indossati da Joaquin Phoenix. Mark Bridges, il costumista, in un’intervista per la rivista online IndieWire, rivela che originariamente era previsto un completo anni ’70 color terracotta, successivamente poi trasformato in un vestito esplosivo rosso sgargiante, intervallato dall’ocra del gilet e dal verde della camicia: il contrasto tra il costume appariscente e la mente lacerata di Phoenix è notevole e intenso, nonché profondamente inquietante: esattamente come risulta essere il personaggio che vive con la madre e conserva un non si sa che di inappropriato e adolescenziale.

Joaquin Phoenix nella parte è a dir poco perfetto, e la percentuale della luce che questo lavoro ci restituisce è di gran lunga affare suo. Con la stessa maestria e profondità con cui interpretò Johnny Cash nel 2005 (nel biopic Walk the line), l’attore si supera nell’atto del ridere: le linee del suo volto si compenetrano con quelle della voce, la quale risulta drammaticamente stridente con le situazioni in cui questi scoppi di “umore” avvengono, lasciando così emergere lo specchio del suo inferno. Certamente uno degli attori migliori della storia del cinema, Phoenix rende il giusto merito a questa pellicola di Todd Philips. Opera avvincente, intensa e straziante. In una parola: magnifica.