Sul filo del rasoio, quello che appare alla nostra vista avanza perfettamente in equilibrio tra scienza ed arte, senza la possibilità di poter davvero distinguerne le differenze, laddove le parti sono unite più di quanto oseremmo immaginare.
Il Senso della Bellezza, il documentario di Valerio Jalongo prodotto da AMKA ed RSI e co-prodotto da Ameuropa e RAI Cinema, si addentra negli spazi profondi del CERN di Ginevra, l’Organizzazione Europea per la Ricerca Nucleare, lasciandosi lentamente calare nel sottosuolo, dove un anello sotterraneo lungo ventisette chilometri, il Large Hadron Collider (LHC), è stato costruito per potersi avvicinare sempre di più alla verità, lasciandosi guidare dal dubbio come unico punto cardine dello sguardo umano.
Uno sguardo che accomuna e spinge alla continua ricerca più di diecimila scienziati all’interno dei laboratori del CERN, trasportando così anche l’occhio del regista che, in maniera quasi involontaria e dapprima refrattaria, viene attratto da quel sempre più impregnante sesto senso. Il senso, appunto, della bellezza sottolineato dal regista, filtrato da formule scientifiche e da esperimenti senza immagine ma ricchi di segnali, quasi vacui nella loro rappresentatività ma mai così tanto presenti e pregnanti.
Il percorso delle immagini e delle testimonianze scelte dal regista ci porta, attraverso la mostruosità dei macchinari quasi paradossale rispetto alla minuziosità degli obiettivi della ricerca, a volerci avvicinare quanto più possibile ai concetti chiave che bilanciano, seppur in opposizione, la nostra vita quotidiana, e che riguardano la simmetria e il disequilibrio, la perfezione e la mancanza, la verità e la bellezza, punto centrale del film.
In un itinerario che attraversa l’intero percorso umano dal Big Bang ai giorni nostri, il documentario vuole esplorare, attraverso immagini tanto astratte quanto strutturate, le domande da sempre presenti nelle riflessioni dell’umanità: cosa muove ciò che siamo? Dove si crea il senso della bellezza? Dov’è il confine tra scienza e natura?Nei quesiti si formula una sempre maggiore vicinanza tra le formule fisiche e le formule che rappresentano ciò che percepiamo davanti, attorno e dentro di noi. Questa presenza intercettatrice nel sottosuolo della città di Ginevra, in grado di scattare quarantamila fotografie al secondo, producendo miliardi di collisioni tra particelle subatomiche, risuona di una certa vicinanza proprio con il linguaggio cinematografico, occhio penetrante ed immersivo, costante e personale, laddove scienziati ed artisti sono accomunati dalla ricerca di risposte e di nuove domande, sotto forma di composizioni, che si vogliano numeriche o musicali.
Opposti speculari, quelli affrontati nell’esplorazione di questo documentario, che coincide con i sessant’anni dalla creazione del CERN e segna uno dei tanti momenti essenziali della sua presenza a livello mondiale. Una presenza che unisce scienziati di centodieci nazionalità differenti e che sembra rendere vana ogni differenza culturale, mettendo al centro la possibilità di far leva su un progetto comune, quello della conoscenza.
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