Non sono più cappuccetto rosso, cortometraggio prodotto dalla Inmagine SA e coprodotto dalla RSI verrà presentato al pubblico domenica 8 marzo alle ore 17.30 al Teatro Plaza di Mendrisio. 

Il film, per la regia di Giona Pellegrini, è liberamente tratto dal racconto autobiografico di Roberta Nicolò, che ne ha curato la sceneggiatura. È il racconto di un fatto di cronaca locale della metà degli anni Settanta. L’abuso che la protagonista ha subito all’età di soli 5 anni.

La direzione della fotografia è stata affidata a Giacomo Jaeggli. Nei panni della protagonista l’attrice Federica Carra, che interpreta una giovane donna che affronta i demoni del passato. Insieme a lei, sul set, l’attore italiano Pietro Ghislandi volto noto al pubblico ticinese. Le riprese si sono svolte interamente in Ticino e anche la crew che ha accompagnato il regista è composta da professionisti del territorio.

Giona Pellegrini racconta «Lavorare ad un progetto come questo per me è stato come visitare posti nuovi all’interno di un territorio familiare. Perché sono un appassionato di psicologia, di storie vere e del genere cinematografico drammatico. È quindi stato spontaneo accettare di partecipare al progetto quando Alberto Meroni, il produttore, me lo ha proposto. Per il film ho subito pensato al bianco e nero, perché non si tratta solo di uno stile di immagine ma di uno strumento selettivo. Senza i colori a decorare e a rendere “normale” il contesto di realtà, alcuni dettagli visivi cambiano. Come per esempio la direzione della luce, o anche la sua intensità e le ombre che ne scaturiscono, il contrasto della pelle, e molto altro. Ho pensato che questa fossa la dimensione perfetta per il film. Una delle cosa più delicate è stata senza dubbio la scelta dell’attrice protagonista, che abbiamo fatto attraverso un casting. Una prova difficile per le aspiranti poiché, in pochi minuti e solo ascoltando le mie indicazioni, dovevano calarsi nella parte, senza conoscere le altre scene e senza altri indizi. Federica Carra mi ha subito colpito. Ho visto nella sua interpretazione il dualismo emotivo e contraddittorio che cercavo».

«Il film vuole ripercorrere un breve frammento della mia storia – spiega l’autrice Roberta Nicolò – è la rivisitazione di un momento importante della psicoterapia, la chiave di volta che mi ha permesso di riappropriarmi di me stessa e del mio futuro. Il rischio, quando in gioco ci sono tanti piani emozionali e dinamiche psicologiche complesse, è quello di perdersi nei meandri di una simbologia troppo astratta, che mal si sposa con la necessità di comunicare un messaggio chiaro e conciso. Il lavoro di scrittura è partito quindi da una sequenza di scene ricche di simbolismi per concludersi con un racconto più essenziale: la presa di consapevolezza della violenza subita. Il momento preciso nel quale le emozioni del passato rompono gli argini e invadono prepotentemente il presente.Il film si apre, infatti, proprio dove il mio racconto si chiude, ovvero nel momento preciso nel quale finalmente ricordo l’abuso. La mia vicenda è caratterizzata da un rimosso psicologico (la mente cancella in maniera selettiva un trauma troppo grande per essere affrontato) che ha determinato tutto lo sviluppo della mia personalità. Violenza che non era rimasta impunita ma che la piccola Roberta (avevo solo 5 anni) nasconde nel subconscio. Il racconto si focalizza sui disagi provocati dall’abuso e dal rimosso e si conclude col ricordo, mentre il film parte dal ricordo per raccontare la rinascita. Affrontando il ricordo ho potuto, infatti, iniziare a lavorare su me stessa ricostruendo non solo il mio passato, ma anche il mio presente e il mio futuro. Un lavoro che necessita costanza e che è stato guidato e supportato da una brava professionista attraverso una terapia sistemico relazionale. Questo è diventato il fulcro della sceneggiatura: il delicato momento di rottura nel quale le barriere autoprotettive cedono e lo sgomento rischia di sopraffarti. Un momento delicato quanto poderoso nel quale la parola libertà assume un significato del tutto nuovo, perché comprendi che soltanto tu puoi liberare te stessa dall’oppressione della paura e del dolore. E allora la vita inizia davvero ad appartenerti. È un messaggio a tutti coloro che affrontano un disagio, un momento di difficoltà. L’invito a non arrendersi e a cercare aiuto per ritrovare sé stessi. Un invito a conoscere il tema, a non nascondersi, a parlare, denunciare e soprattutto a prevenire questo fenomeno».

L’obiettivo principale di questo cortometraggio è, infatti, sensibilizzare il pubblico sul tema della pedofilia e dare sostegno a realtà attive in ambito di prevenzione sul nostro territorio come la Fondazione ASPI e l’Associazione Io no. La serata di presentazione sarà anche occasione per raccogliere fondi a favore di questi progetti.