Il protagonista de Il legionario è in mezzo a due fuochi: da un lato ha la famiglia d’origine che vive in un palazzo occupato nel centro di Roma. D’altro lato fa parte della Celere. Lui è Daniel, l’unico poliziotto di origine africana del Reparto Mobile di Roma. Con i colleghi deve sgomberare il palazzo in cui vivono 150 famiglie, ma una è appunto la sua e ci vivono la madre e il fratello.
Il regista di questo film italiano, in concorso nella sezione Cineasti del presente, si chiama Hleb Papou, è di origine bielorussa, ed è cresciuto in Italia. Il suo sguardo verso le problematiche legate all’integrazione è chiaro.
Lo abbiamo incontrato insieme al cast e agli sceneggiatori. Ecco quello che ci hanno detto: “Abbiamo girato il film in un tempo record (19 giorni) dentro il palazzo occupato, in piena seconda ondata pandemica. Con un budget limitato che poteva finire da un giorno all’altro. Ma ognuno ha dato del suo meglio perché ha voluto bene alla storia”, evidenzia lo stesso regista.
Da parte sua Maurizio Bousso (che interpreta il fratello nel film) sottolinea come l’aver vissuto per diversi giorni all’interno il palazzo occupato non è stato facile. “All’inizio ci sono state delle difficoltà anche per loro perché il Covid ha fermato tutte le attività che organizzavano come eventi, feste, concerti, ecc. Noi siamo stati i primi a poter accedervi dopo tanto tempo. Anche per questa ragione non è stato semplice entrare in relazione con gli abitanti. Del resto è comprensibile perché abbiamo occupato il loro microcosmo con la nostra troupe di 50-60 persone”. Un mondo chiuso che assomiglia molto a quello della Celere: “è paradossale ma è proprio così, ha detto Papou.
Il film è nato da un’idea originale dello stesso regista nel 2014. “Ho pensato a un celerino nero del Reparto Mobile e poi ho sviluppato il concetto prima in un cortometraggio e quindi nel lungometraggio. Devo dire che facendo le nostre ricerche abbiamo conosciuto alcuni poliziotti neri. Esistono, sono tra di noi, non è fantascienza”, scherzando. E gli sceneggiatori aggiungono: “Abbiamo capito di aver intercettato una storia che aveva bisogno di essere raccontata e c’era molto interesse nel metterla in scena. Ma in generale volevamo anche raccontare questa Italia che cambia ed è sempre più multietnica. Basti pensare che a ogni piano del Palazzo ci sono odori diversi. È un vero luogo multietnico con i suoi pregi e i suoi difetti”.
Da parte sua Germano Gentile (il protagonista) mette in evidenza la sua preparazione fatta a fianco di un vero celerino. “Ho passato diverse notti con uno di loro (Drago) ed è stato molto utile per poter entrare nella parte. Avere quello sguardo consapevole di essere all’interno di una famiglia di adozione come è la Celere è fondamentale. Capire come ragionano e che rapporto hanno tra di loro anche. Mi ha ripetuto più di una volta che quando indossi quella divisa non c’è colore della pelle o altro, siamo tutti fratelli. Io proteggo te e tu mi proteggi, in questo senso loro sono sempre compatti, al di là delle credenze politiche, religiose e del colore della pelle”.
Un film interessante, anche se nell’intenzione vorrebbe essere sopra le parti, e come dicono gli autori, “descrivere la complessità di quella situazione”. Ma che in definitiva non riesce, fino in fondo nell’intento. La parte politica che prende è chiara. Chi lo vedrà se ne accorgerà.