Io me la ricordo l’Olimpiade invernale di Lillehammer. Era il 1994 e Tonya Harding era salita alle cronache di tutto il mondo per essere implicata nel ferimento a un ginocchio della sua rivale Nancy Kerrigan. In Norvegia tutti aspettavano di vedere lo scontro tra le due americane. Certo, c’erano anche le altre atlete e forse erano anche più brave, ma a tutti interessava il duello tra la vittima e la carnefice.

I Tonya racconta la difficile vita della pattinatrice. Lo fa in modo originale, giocando sulla tensione ma anche sul sarcasmo. In bilico costante tra il dramma e la commedia grottesca, il tutto dentro un falso documentario. Insomma la realtà (perché la pellicola come detto si ispira a una storia vera), che diventa un film e quindi fiction, ma che poi si trasforma in una finta realtà grazie una serie di interviste ai protagonisti invecchiati. Roba da non dormirci la notte.

Il meccanismo che il regista australiano Craig Gillespie ha elaborato è un continuo gioco con lo spettatore, fatto di sguardi ammiccanti (o meno) alla macchina da presa e accompagnate da altrettante hit di quel tempo. Alla fine hai la sensazione di aver visto un film a fianco di un amico che ti ha dato di gomito per buona parte del tempo e che, con un sorriso a 24 denti, ha continuato a fare commenti su quella o quell’altra scena.

Tonya Harding ha il viso imbruttito della bravissima Margot Robbie (l’Oscar prima o poi sarà suo), mentre la perfida madre ha quello incattivito della sublime Allison Janney (l’Oscar è stato suo quest’anno).

All’epoca facevo il tifo per Nancy Kerrigan: bella, brava e di buona famiglia: la fidanzata che tutti avrebbero voluto avere. Inoltre era la vittima di quel folle gesto. Dopo aver visto il film ho cambiato idea. Tonya Harding era bruttina, tozza, sgraziata e rude. Il pattinaggio è stata la sola ancora di salvataggio alla quale si è aggrappata per buona parte della sua vita, ma che alla fine l’ha fatto comunque sprofondare, in un’ultima e definitiva scivolata sul ghiaccio. Un’atleta che ha perso tutto e che non è riuscita a salvarsi. Malmenata dapprima da chi avrebbe dovuto amarla e poi dal pubblico, attraverso i media.

L’umana empatia non può non essere che al suo fianco.