Specializzato in fotografia di opere d'arte e architettura. Collaboratore della rivista di cinema, Cinemany. Membro di SBF e Visarte.

I fratelli Jean-Pierre e Luc Dardenne sono tra i più grandi registi viventi. All’attivo hanno una dozzina di film, ma soprattutto titoli di spessore come Rosetta, Due giorni una notte, e Il ragazzo con la bicicletta che hanno segnato profondamente la storia del cinema negli ultimi decenni. Nati e cresciuti in Belgio, dove Luc ha studiato arte drammatica e Jean-Pierre filosofia, si sono avvicinati al cinema nel 1978 come documentaristi. Nel 1994 hanno quindi fondato la casa di produzione Les Films du Fleuve che, oltre ai loro, ha prodotto anche alcuni film di Ken Loach, Xavier Beauvois, Jacques Audiard. Due volte Palma d’oro a Cannes, con Rosetta nel 1999 e con L’Enfant – Una storia d’amore nel 2005, sono stati i protagonisti (ricevendo anche il Castello d’onore) dell’ultima edizione di Castellinaria, che si è tenuta a Giubiasco dal 19 al 26 novembre, e dove hanno presentato il loro ultimo lavoro Tori e Lokita (vedi recensione nella parte rosa di questo numero).
Con il fotografo Roberto Pellegrini abbiamo avuto il piacere di incontrarli per un’intervista. Si sono dimostrati molto disponibili e interessanti nelle loro riflessioni.

Come avete scelto il soggetto del film Tori e Lokita e in che modo l’avete sviluppato?
Nel 2008 avevamo immaginato un inizio di sceneggiatura su una famiglia composta da una madre e due bambini che aspettavano i loro permessi da rifugiati. Nell’idea originale la madre riceveva l’ordine di lasciare il territorio con i bambini. E in quel momento le viene l’idea di andarsene da sola e far restare i bambini e dichiararsi minorenni non accompagnati davanti alla polizia. Nel 2020 leggemmo un articolo, nella stampa belga, sui minorenni non accompagnati, nel quale si diceva che molti di loro sparivano nel nulla e venivano usati nelle reti criminali. E per noi, in democrazia, questo è davvero inconcepibile. Per questo ci siamo interessati all’argomento e abbiamo pensato di concentrarci su due ragazzi che si trovano in questa situazione. Anche se non sapevamo ancora in che modo raccontare la storia.
Poi ci siamo accorti che, in fondo, volevamo raccontare una storia d’amicizia e in quel momento abbiamo capito che avevamo la storia e che potevamo svilupparla in diversi modi.

 

Foto: Roberto Pellegrini

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