Nella sezione Panorama della Berlinale Home Sweet Home di Frelle Petersen si presenta come un’opera minore, non tanto per la storia raccontata o per il registro utilizzato, quanto per la sua struttura complessiva, che trova il suo apice in un finale intenso e rivelatore. Un epilogo che, con la sua semplicità e potenza emotiva, riesce a commuovere e a dare un senso più profondo all’intero racconto.
Petersen è noto per il suo approccio naturalistico, uno stile che in questo film si avvicina maggiormente ai fratelli Dardenne piuttosto che a Kechiche. Il tono è pacato, privo di eccessi, e la narrazione si costruisce su gesti minimi, ripetitivi e quotidiani. Tuttavia, non mancano momenti di forte impatto emotivo che emergono con una delicatezza sottile ma efficace.
La protagonista, Sofie (interpretata con sensibilità da Jette Søndergaard), è una donna di 32 anni, divorziata, alla ricerca di un nuovo inizio. Trasferitasi con la figlia Clara in una piccola cittadina, inizia a lavorare come assistente domiciliare. Il suo carattere empatico la porta a instaurare rapidamente un forte legame con i suoi pazienti e colleghi, ma la pressione del lavoro e un reclamo ingiustificato scatenano una serie di difficoltà che mettono alla prova la sua stabilità emotiva e i rapporti con chi le sta intorno.
“Sofie è uno degli eroi quotidiani della vita, appassionata del suo lavoro, che cerca di svolgere al meglio”, spiega il regista. “La storia racconta di come reagiamo quando siamo costantemente sotto pressione, sia sul lavoro che nella vita personale”.
Sebbene il film non si distingua per un messaggio particolarmente innovativo né per una forza emotiva paragonabile ai maestri del genere, resta un’opera onesta e ben interpretata. La performance di Jette Søndergaard si rivela il cuore pulsante della pellicola: attraverso gesti misurati e un’espressività contenuta, riesce a trasmettere un’empatia autentica. Ma, come detto, è nel finale che il film trova la sua vera voce. È proprio lì che la bravura dell’attrice e la visione del regista emergono con maggiore intensità, lasciando nello spettatore una sensazione di sottile e malinconica risonanza.