Locarno78, Conversation with Golshifteh Farahani (Excellence Award Davide Campari), 07.08.2025

Certe volte, nei festival, non sono i film a restare più impressi, ma gli incontri. A Locarno, quest’anno, è successo con Golshifteh Farahani. Una presenza magnetica, che ha riempito la Piazza Grande non solo con il suo carisma da attrice, ma con un modo di raccontarsi che ha mescolato leggerezza, dolore, ironia, consapevolezza. Applausi scroscianti e risate complici hanno scandito il dialogo con il pubblico, confermando che l’Excellence Award Davide Campari consegnatole sul Verbano non era solo un premio alla carriera, ma il riconoscimento a una donna capace di incarnare l’arte in tutte le sue forme. Lei ha interpretato alcuni dei successi commerciali più importanti degli ultimi anni alternandoli a film d’autore. La sua carriera va infatti da Nessuna verità di Ridley Scott, passando per Pirati dei Caraibi – La vendetta di Salazar e Tyler Rake, per arrivare a Leggere Lolita a Teheran e Alpha, per non citare che alcuni titoli.
Farahani parla con il corpo, con gli occhi, con la voce che a tratti sembra modulare una partitura. È inevitabile: la sua vita è stata segnata dalla musica tanto quanto dal cinema.
«Non volevo fare l’attrice da ragazza, ma suonare. Io provengo da una famiglia che ha avuto a che fare con la recitazione e, anche per staccarmi da quella tradizione, volevo cambiare arte. Suonavo e mi piaceva molto. Mio padre ha insistito talmente tanto che a 17 anni mi sono arresa».
Era già comparsa sullo schermo a 14 anni, in Derakhte Golabi di Dariush Mehrjui, che le valse un premio importante al Festival di Fajr. Ma dopo quell’esperienza decise di interrompere: «Per tre anni non ne ho voluto più sapere». Poi, quasi per caso, tornò al cinema. E da lì non ne sarebbe più uscita.
Eppure, la musica rimane il suo battito interno: «Mi sono laureata in una scuola di musica ed è sempre stata al mio fianco. Tanto che oggi, quando mi chiedono che lavoro faccio, rispondo musicista e non attrice. Anche il cinema per me è ritmo. I buoni film hanno un cuore che batte al tempo giusto. Non è l’immagine che li rende vivi, ma la loro musica interiore».
C’è un legame profondo tra Golshifteh e la Svizzera. Non solo per il premio ricevuto a Locarno: «Ho conosciuto l’Hang grazie al suo inventore, Felix Rohner. Lo desideravo talmente tanto che continuavo a scrivergli. Ricordo il giorno in cui andai da lui per acquistarlo. Locarno stessa ha la sua musica: quella del fiume, delle montagne, del lago. Io preferisco ascoltare il mondo piuttosto che vederlo». La sua voce si ferma, e la sala la segue in silenzio. La musicalità di cui parla non è un concetto astratto: è un modo di guardare la vita.

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