Le famose “divergenze strategiche” che dicono tutto e non dicono nulla. Il comunicato del Locarno Film Festival offre solo questa ragione per giustificare lo scioglimento del rapporto di lavoro (in modo consensuale) con Lili Hinstin dopo una sola edizione (quella di quest’anno era monca) del Festival.

Partiamo da lì, perché la strategia di un festival è essenziale. Ricordiamo che alla fine di agosto del 2018, Marco Solari, durante la presentazione dell’allora nuova direttrice, si era espresso in questi termini: “Lili Hinstin è risultata la candidata che più di tutte e di tutti i candidati corrisponde al profilo che Presidenza, Consiglio direttivo e Consiglio di amministrazione chiedono al direttore artistico. L’evoluzione di un festival non è mai lineare, va a tappe. L’obiettivo ora è il 75° del Festival e i prossimi anni saranno decisivi per arrivare nel 2022 con un Festival che, senza smentire la sua storia, avrà saputo interpretare, grazie alla sensibilità e competenza della Direzione artistica, insieme con l’efficienza della Direzione operativa, i cambiamenti delle società nel mondo e del cinema in generale”. Quindi era la candidata migliore tra quelle selezionate e l’obiettivo era il raggiungimento della 75esima edizione. Sulla prima affermazione non mi esprimo , è una scelta e come tale va rispettata. Sulla seconda affermazione ovviamente si può parlare di fallimento. L’obiettivo non è stato raggiunto.

La stessa Lili Hinstin aveva affermato che intendeva aprire la rassegna in tre direzioni: alla diversità, ai nuovi attori economici (Netflix e Amazon) e ai giovani (con la realtà virtuale). Questa era la strategia della direttrice. Era in questo senso che si era mossa nella prima edizione. Nelle intenzioni, almeno, perché per esempio le piattaforme online non mi sembra siano state coinvolte in modo sistematico nel Festival. Sulle altre due questioni lascio un bel punto di domanda.

Ora sarebbe utile riflettere sugli errori commessi scegliendo Lili Hinstin. Anche da parte del Consiglio direttivo con alla testa lo stesso Solari. E bisogna farlo in fretta: prima di annunciare il nuovo o la nuova direttrice.

E questa figura come dovrebbe essere? Mi permetto di buttare sul tavolo qualche riflessione. La competenza e la conoscenza del cinema sono ovviamente essenziali. Anche le doti di direzione sono auspicabili, ma bisognerebbe capire quali sono (è meglio il pugno duro o la condivisione?). Come sa chi ha lavorato in team ci sono diversi modi di dirigere un’azienda e il festival non è molto diverso da un’azienda.

Ovviamente ci deve essere una squadra efficiente che sostenga la nuova figura. Quella attuale va bene o forse bisognerebbe cambiare qualcosa? La giuria scelta lo scorso anno dal comitato direttivo non mi ha convinto così come non ho apprezzato il vincitore Pedro Costa. Scrivevo: “questa è la conferma di come il divario tra l’università del cinema (i critici) e il pubblico sia enorme. Forse incolmabile”. Ecco mi piacerebbe un vincitore che sia più vicino agli spettatori, magari anche sperimentale e giovane (Costa non è un ragazzino, ma è del 1959) come dovrebbe essere Locarno; un festival di scoperta. E forse questo aspetto si è perso un po’, soprattutto nel concorso principale.

E poi? Perché non puntare su una figura svizzera? I festival nel nostro Paese abbondano e anche i direttori “nostrani” non mancano così come abbiamo scuole e diversi professionisti che lavorano nel settore. Sarebbe come, per una squadra di calcio, puntare sui giovani del vivaio. E quelle, giustamente, sono sempre le figure più amate dal pubblico. Senza dimenticare che conoscono la realtà svizzera meglio di una francese o di un italiano. Certo, Locarno è un festival internazionale. Non guardiamoci l’ombelico, apriamoci. Ma se guardiamo a Cannes e a Venezia i direttori sono un francese e un italiano. Vero, c’è anche Berlino che ha il nostro ex direttore (ma è l’eccezione che conferma la regola e fino all’anno scorso c’era un tedesco alla guida).

Insomma: pensiamo global, ma guardiamo al local. Solo così Locarno resterà Locarno e potrà portare il suo nome in giro per il mondo.