Immaginate una partita di calcio tra fisici e filosofi. Il Mister schiera in campo il massimo del pensiero umano. Vi sembra un’immagine surreale?
Ebbene, allora non avete visto Goal del regista svizzero Fulvio Bernasconi. Ma questo cortometraggio comico del 2012 è solo uno dei tanti lavori che, nei suoi vent’anni di carriera, ha saputo regalare al pubblico. Il suo ultimo lungometraggio, intitolato Miséricorde, lo abbiamo visto all’ultima edizione del Locarno Festival e ci ha convinti. Tre vite si intersecano, quella di Thomas, di Mary-Ann e di John, sullo sfondo grigio di un paesaggio che sembra piangere la desolazione degli uomini.
Tre vite che solo nell’incontro le une con le altre sanno riconquistare la forza di agire, di rompere il tedio che le accompagna per fare senza più indugio la cosa giusta. Il film, girato in Québec, si colloca in un contesto comune in tutto il Nord America, ovvero quello del degrado sociale delle comunità indigene, oggi l’ultimo anello della catena dell’ingiustizia di classe.
Nel film di Fulvio Bernasconi questo senso di abbandono e marginalità è reso in modo puntuale attraverso la semplicità della narrazione, che non eccede mai, ma mostra l’intimo sentimento di impotenza che permane costante negli sguardi dei protagonisti indigeni. Due mondi che appartengono alla stessa terra ma che sono distanti e sembrano non volersi riconoscere.
E allora, per saperne di più, abbiamo incontrato il regista di origine ticinese a Lugano, la sua città natale, dove, reduce dalle ultime riprese della serie Tv che lo ha visto impegnato in Belgio, ci ha raccontato il suo modo di fare cinema.
Signor Bernasconi, come è approdato al mondo del cinema?
Sono cresciuto a Lugano, che non è esattamente la capitale del cinema. Da piccolo credevo che neppure si potessero fare i film, almeno non da noi. Immaginavo che si realizzassero solo in America o al limite in Italia. Ma da adolescente ho cominciato ad andare al cinema e mi sono appassionato. Ho capito che attraverso i film si possono comunicare delle idee sul mondo, sulla società e anche trasmettere idee politiche. Così mi sono messo in testa di poter fare il regista. Certo all’inizio era un’ambizione assolutamente ingenua. Fatto è che poi, il regista, l’ho fatto davvero.
Come ha cominciato a trasformare la sua ambizione in un vero e proprio mestiere?
All’Università di Ginevra ho studiato scienze politiche e poi ho fatto la scuola di cinema di Losanna, che è stata la prima in Svizzera. Faccio parte di quella pionieristica generazione di registi svizzeri formati in Svizzera. La formazione è sicuramente il punto di partenza per fare questo mestiere. Subito dopo gli studi ho iniziato a lavorare, sono stato molto fortunato, i miei film di diploma sono stati comprati da arte e Canal plus e questo mi ha subito messo sulla strada giusta. Di fatto sono vent’anni che lavoro. Ho fatto molta televisione e tanti documentari, poi anche due film per il cinema e alcuni telefilm. Adesso ho finito la mia prima serie televisiva, una storia in sei puntate che ha debuttato lo scorso novembre. Ho avuto modo di chinarmi su diverse tipologie di prodotto durante questi anni di lavoro e ho accumulato una discreta esperienza.
Quali sono i temi che preferisce raccontare nei suoi film?
Mia moglie dice sempre che vado dove si soffre, dove si sta male. In parte ha ragione. Sono interessato a scoprire l’uomo attraverso i suoi conflitti, sono molto attratto da situazioni esistenziali realmente difficili. Mi sento più adatto a questo genere di contesto, mentre il dramma borghese non mi interessa molto. Fuori dalle corde, per esempio, è una fiction che racconta i combattimenti di box clandestini. Il protagonista, Michele Lo Russo, è un giovane boxeur italiano che va ad Amburgo per inseguire la sua carriera ma senza successo. Torna quindi a Trieste dove entra in una rete di combattimenti clandestini al di là del confine croato. Un ambiente molto particolare e molto duro. Poi ho affrontato il tema dei senza tetto di Ginevra con un documentario, ho girato un altro doc sulla disintossicazione dall’alcolismo, ho fatto un lavoro sulla ricostruzione di Haiti dopo il terremoto. Insomma tutti temi che raccontano l’uomo e i suoi drammi. Ma mi piace anche fare commedie, ho fatto qualche piccolo corto, Goal ne è un esempio, e non mi dispiacerebbe affrontarla con un lungometraggio. Avrei già qualche idea in proposito, chissà che non si realizzi.