Il titolo è inequivocabile. O almeno è quello che vuole lasciarci intendere il regista. Il tema centrale del film è la libertà. Eppure, guardandolo, c’è qualcosa che non torna. L’eroina (o l’antieroina a dipendenza di come la si guardi) è una donna che, un giorno, decide di scappare dalla sua vita normale, dal suo lavoro e dalla famiglia. Spinta da un irrefrenabile voglia di libertà. Ma ben presto lo spettatore capisce che non è tanto la libertà a essere centrale, quanto l’identità. Cambia nome, ogni volta che conosce qualcuno. E quando il ragazzo che incontra per caso e con il quale finisce a letto, frugando nella sua borsa, scopre la sua vera identità, le se ne va infuriata. Cambia anche l’aspetto fisico: l’acconciatura. In definitiva lei non cerca di essere libera, ma cerca se stessa: quella che ha perso (o forse non ha mai avuto) nella sua vita normale. Una ricerca che prosegue senza sosta, tra conoscenze fugaci e amicizie più solide.
Osservando bene la pellicola – ben costruita e dal ritmo giusto – il tema dell’identità è presente anche altrove. E cioè nel rapporto del marito con un uomo nero in coma: è infatti solo con lui che riesce a sfogarsi e a esprimere le sue vere emozioni. Così come traspare da un ricordo: una cena tra amici in cui uno degli invitati è un nero che lo accusa di essere razzista. E la scena finale della pellicola nella quale vestita di bianco si suicida in un mare buio, è probabilmente la conferma di una sconfitta.
La ricerca d’identità della protagonista non è quindi tanto diversa da quella di un popolo confrontato con il diverso, l’altro. Un tema di scottante attualità.