Cronofobia, questo il titolo del primo lungometraggio del giovane regista ticinese Francesco Rizzi, presente al Festival di Locarno nella sezione Panorama Suisse ci offre uno spaccato di realtà fatta di malinconia, di apatia e di voglia repressa di andare oltre il dolore.
Un film che racconta la storia di Anna (Sabine Timoteo) e Suter (Vinicio Marchioni) legati da un rapporto basato sul bisogno reciproco, la necessità di entrambi di sfuggire da una vita che li divora dentro. Un’analisi puntuale, quella di Rizzi, sulla psicologia dei personaggi che sono il fulcro di tutto il film.
Il film approda a Locarno reduce da diversi successi internazionali. Un esordio molto promettente per Francesco Rizzi, che abbiamo incontrato nelle giornate del Festival.
Francesco Rizzi, quando hai deciso che saresti diventato regista?
Io ho un po’ la classica storia del ragazzino che sin da piccolo era innamorato del cinema e, infatti, continuavo a chiedere ai miei genitori di portarmi a vedere i film sul grande schermo.
Già intorno ai dieci anni, quindi, pensavo di fare il regista e crescendo la passione per questo mondo non è diminuita.
C’è da dire che nella mia adolescenza ero abbastanza timido e introverso e per questo non sono sempre riuscito ad esprimere ciò che avevo dentro in maniera diretta. Mi piaceva osservare le persone e ciò che avevo intorno per poi immaginare delle storie.
Durante l’università ho esteso la mia conoscenza cinematografica e terminati gli studi, visto che questa passione non faceva che crescere, ho deciso di trasferirmi a Roma per frequentare una scuola di cinema.
Il personaggio presente in Cronofobia fa un mestiere che è sconosciuto alla maggior parte delle persone e che lo rende molto interessante e complesso. Da dove è nata l’idea di questa professione?
L’idea viene da un’esperienza personale. L’agenzia per cui lavoravo nei fine settimana durante i miei studi a Roma, mi propose un lavoro nuovo che si chiamava Il cliente misterioso. Ho accettato e per due mesi sono andato nelle stazioni di servizio, nei negozi e negli alberghi per valutare la qualità del servizio al cliente. Sin da subito avevo pensato che sarebbe stato un buono spunto per raccontare una storia d’identità sospese.
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