
Che la politica (intesa anche come pensiero comune) influenzi l’arte e che l’arte stessa influenzi in qualche modo la politica è ormai un fatto assodato da molti anni. Ma fino a che punto e in che termini può essere definita “corretta” questa contaminazione reciproca? Sempre? Unicamente in determinati casi? Se “sì”, quali?
23 febbraio 2017, Parigi, Francia. 61’000 persone firmano una petizione per boicottare la partecipazione di Roman Polanski ai Cesar, gli oscar francesi. Un fatto simile a quello accaduto al festival di Locarno nel 2014, entrambi nati per la medesimo ragione: la condanna del regista per rapporti sessuali con una tredicenne avvenuti nel 1977. Corretto? In molti direbbero di sì, data l’indubbia gravità del crimine commesso. Un fatto tanto serio che in molti hanno anche chiesto il boicottaggio di tutti i suoi film, passati, presenti e futuri.
Ma ecco, in questo caso per esempio, cos’è Polanski? L’uomo accusato e condannato? O il regista? Dove finisce uno e inizia l’altro? Giudichiamo l’uomo e di conseguenza anche le opere che l’uomo compie? È giusto giudicare il lavoro di una persona, solo il suo lavoro, basandosi sull’opinione della persona stessa? I due fattori sono scindibili oppure no?
Da una parte ciò che un uomo compie è una diretta conseguenza di ciò che è, quindi la risposta è “sì”. Quindi giudicare l’uomo significa giudicare l’“artista” e di conseguenza disprezzando il primo si va, per osmosi, a disprezzare anche il secondo.
Ma se pensiamo alla storia, forse l’equazione non è così semplice: Caravaggio uccise un uomo, Leni Riefenstahl lavorava per il regime nazista, Robert Louis Stevenson era un violento cocainomane, e via discorrendo. Ma nessuno mette in dubbio la validità delle loro opere. Quindi bisogna dividere i due giudizi? Possiamo amare un’opera e odiare l’artista che la prodotta? O è giusto, finanche inevitabile che vi sia una contaminazione?
Qualche spunto di riflessione su una discussione vecchia come la politica.