Duro come un macinio, asciutto come un deserto e aspro come un limone. Familia di Francesco Costabile è un film (presentato nella sezione Orizzonti della Mostra di Venezia) che non lascia scampo. Ti rinchiudo all’angolo e ti costringe a subire quello che subisce la famiglia di Luigi dal padre. Un lavoro scuro, difficile da digerire e che in qualche modo ricorda gli ambienti degradati di Dogman di Matteo Garrone.

Questa è la trama: Luigi Celeste ha vent’anni e vive con sua madre Licia e suo fratello Alessandro, i tre sono uniti da un legame profondo e da una vita difficile. Sono quasi dieci anni che nessuno di loro vede Franco, compagno e padre, che ha reso l’infanzia dei due ragazzi e la giovinezza di Licia un ricordo fatto di paura e prevaricazione. Luigi vive la strada e, alla ricerca di un senso di appartenenza e di identità, si unisce a un gruppo di estrema destra dove respira ancora rabbia e sopraffazione. Un giorno Franco torna, rivuole i suoi figli, rivuole la sua famiglia, ma è un uomo cattivo, che avvelena tutto ciò che tocca e rende chi ama prigioniero della sua ombra. Quella di Luigi e della sua famiglia è una storia che arriva al fondo dell’abisso per compiere un percorso di rinascita, costi quel che costi.

È un lavoro fatto di sguardi taglienti, parole secche e gesti violenti. Vetri rotti, pugnalate, urla e soprattutto tanta rabbia. Quella del padre e di Gigi che non vuole fare la sua fine, ma ci va vicino. Ed è anche un film che prende spunto dal libro Familia del vero Luigi Costabile, un’autobiografia che racconta la sua storia. Una vicenda che a 23 anni e dopo una vita dura, vissuta tra le difficoltà economiche e con la costante violenza fisica e psicologica di un padre che entra ed esce dal carcere, Luigi si trova dentro un buco nero e profondo: quello di una cella di San Vittore per aver ucciso il genitore.