È sicuramente un film da festival, El Gran Movimiento. Ne ha tutte le caratteristiche: il ritmo lento, la fotografia che alterna primi piani su dettagli a splendide panoramiche, i suoni d’ambiente e il tema sociale e in fondo politico. Filmato nella città natale del regista Kiro Russo, a La Paz, il film segue la vita quotidiana di Elder, un giovane minatore, e di Max, un senzatetto che vivono alla giornata.

Presentato oggi nella sezione Orizzonti della Mostra di Venezia, ha anche un tocco elvetico perché coprodotto dalla Bord Cadre films di Ginevra.

La pellicola di Russo (tra l’altro una vecchia conoscenza di Locarno perché aveva presentato un suo precedente lavoro nel 2016) si basa sulle antitesi, sulle opposizioni. Anzitutto la macchina da presa indugia spesso e volentieri sull’architettura urbana di La Paz, ma altrettanto frequentemente ci mostra la periferia selvaggia e naturale. Anche nei movimenti di macchina osserviamo l’antitesi. Per esempio nelle prime inquadrature dove osserviamo i palazzi di La Paz filmati con un travelling orizzontale.

E i due personaggi in questo mare di cemento, mattoni e praterie? Sono come due isole in mezzo al mare, sono due vite anonime, ma funzionali a quanto vuole esprimere il regista. “Volevo girare un film su La Paz con personaggi che potessero fornire un particolare punto di vista sulla città” ha dichiarato lo stesso regista. “Ho trovato questi personaggi in Elder e in Max, le cui insolite posizioni nella società mi hanno dato la possibilità di osservare la città nel suo insieme e di vederne i sistemi, le architetture e i cambiamenti. Ispirandomi liberamente alle loro vite, ho creato questa storia di malattia e cura che ci porta nel cuore del tessuto sociale della città, rivelando le vite degli invisibili”. Ecco, un’altra antitesi: la malattia e la cura, lo star male e lo star bene.

Alla fine di El Gran Movimiento ti resta una sensazione straniante. Ti sembra di aver vissuto una sorta di allucinazione (e in questo senso le ultime immagini ne sono l’emblema) dove la realtà di un mondo lontano come quella peruviana, ti ha accompagnato per un’ora e mezza, e dove l’ubriacatura di quell’altitudine (siamo a 3.600 metri sopra il livello del mare) ti si incolla addosso ancora per un po’.