Scritto da Enrico Cehovin
in collaborazione con https://lumiereeisuoifratelli.com/
Nel 2013, con Stray Dogs, il regista taiwanese Tsai Ming-Liang aveva detto addio al cinema, congedandosi con il premio della giuria alla 70ª Mostra del Cinema di Venezia. Un addio durato in realtà molto poco e che ha visto susseguirsi nel corso degli ultimi 7 anni numerosi progetti audiovisivi per il regista tutti di natura diversa: una serie di videoinstallazioni nel 2014, (Journey To The West, presentato in parte nella sezione Panorama della Berlinale), un documentario autobiografico nel 2015 (Afternoon, presentato in fuori concorso alla Mostra del Cinema di Venezia), un mediometraggio in VR nel 2017 (The Deserted, presentato in concorso VR a Venezia) e un documentario di soli primi piani nel 2018 (Your Face, presentato nella sezione Sconfini a Venezia).
A metà strada tra il documentario e il film di finzione, con Days, Tsai Ming-Liang torna ufficialmente a firmare il suo undicesimo lungometraggio presentandolo in concorso alla 70ª Berlinale.
Le lunghe e statiche inquadrature di questo undicesimo lungometraggio, non muto ma non dialogato, raccontano la giornata di due uomini che non si conoscono e non conoscono un linguaggio comune. Days racconta la ripetitività del loro quotidiano, inserendo le vere sedute di terapia per il collo di Lee Kang-Sheng e le svariate attività, lavorative e non, di Anong Houngheuangsy: cuoco, venditore alle bancarelle di un mercato notturno e operatore sessuale. I due sono divisi nello spazio, abitano in solitudine ambienti differenti e le azioni che compongono la loro giornata vengono presentate in montaggio alternato, mentre le loro vite scorrono distanti e parallele.
Solitudini e suggestioni di lontananza convergono e trovano compimento nell’inquadratura posta, dopo un’ora, al centro del lungometraggio: un palazzo abbandonato nei cui riflessi dei vetri rotti si scorge un tramonto, palazzi spettrali, un gatto che cammina solitario proiettando la sua immagine vetro rotto dopo vetro rotto fino a dissiparsi un una rifrazione; l’unica inquandratura senza la presenza dei due protagonisti – e di presenza umana in generale – è quindi la il punto d’arrivo della desolazione di un mondo in rovina, framentato, spettrale, al crepuscolo.
E poi l’incontro fra i due, in una stanza d’albergo. Anong Houngheuangsy, previo compenso, offre un lungo massaggio (poco meno di mezz’ora) e una prestazione sessuale a Lee Kang-Sheng. Prima di dividersi però Lee Kang-Sheng regala ad Anong Houngheuangsy un carillon che, non a caso, suona il Tema di Terry da Luci della ribalta di Charlie Chaplin, un dono che riecheggia nuovamente la fine di un epoca – anche quella del muto – ma che allo stesso tempo crea una nuova apertura, un gesto d’affetto, un segno di speranza.
All’uscita dell’albergo i due mangiano insieme, e ancora una volta le suggestioni del lungo incontro tra i due convergo in un’immagine che racchiude il senso del nuovo stato di equilibro venutosi a creare. Si tratta infatti della prima e unica immagine in cui i due protagonisti occupano simmetricamente lo stesso spazio e lo stesso peso nell’immagine, ripresi lateralmente, rivolti l’uno verso l’altro ai lati opposti della tavola, unico momento in cui si crea un teporaneo punto di contatto e una per quanto breve situazione di parità.
La speranza nata fra i due trova riscontro anche nell’inquadratura finale che differisce dalla comune pratica del regista taiwanese. Spesso infatti i lungometraggi di Tsai Ming-Liang si chiudono con un lunghissimo piano-sequenza in primo piano di un volto che piange; il primo-piano di Lee Kang-Sheng occupa invece in Days il pre-finale, questa volta non solcato dal pianto per poi chiudersi su un’ultima inquadratura di Anong Houngheuangsy che riascolta ancora una volta il carillon prima di incamminarsi nuovamente sulla strada della sua routine quotidiana.
Il cinema di Tsai Ming-Liang, rimasto sostanzialmente invariato, ritrova in Days una relativa linearità e, dopo la deflagrazione totale del contemporaneo conclusa con l’interminabile piano finale di Stray Dogs, si tinge nuovamente di speranza.