Al di là della popolarità che gli si riconosce, non capita spesso che il ballo sia oggetto di riflessioni approfondite: negli studi accademici, per esempio, è sovente relegato alle operazioni sofisticate delle cerimonie ritualistiche; altre volte rinvia semplicemente a uno spettacolo di danza contemporanea o classica o, in alternativa, viene assimilato in modo un po’ affrettato allo svago, al divertimento e allo spasso. Ma anche quando associati ad ambiti specifici (il rituale, l’arte o il divertimento), il ballo e la danza ci rivelano molto più di quanto non pensiamo sulla nostra società, sui nostri valori e sul nostro immaginario. Non è quindi un caso se proprio la centralità del ballo appaia in molte scene di film, alcuni recenti e altri meno da La febbre del sabato sera (1977), a Footloose (1984) e Dirty Dancing (1987) fino a Pulp Fiction (1994) e La La Land (2016).

Titoli che sono ormai destinati a rimanere nella memoria cinematografica di molti di noi. A volte poi capita che ballare con qualcuno possa addirittura cambiare l’ordine del mondo in cui vivi, mettendo a rischio certi equilibri costruiti nel tempo e destinati ad essere salvaguardati. Come mi raccontava un amico antropologo di recente, ad alcune feste di paese se una persona sceglieva il compagno o la compagna di ballo sbagliato/a, le conseguenze potevano essere anche molto estreme, tanto che poteva capitare che il giorno dopo qualcuno ritrovasse un cadavere in fondo a un burrone. Può bastare un passo di danza da manuale, degli sguardi che si incontrano, un contatto appena accennato, oppure una presa decisa e sicura per mettere in discussione un sistema di regole e una linea di demarcazione che divide il lecito e l’illecito. Chi ha visto Pulp Fiction di Quentin Tarantino sa di cosa parlo, tanto che la sequenza del ballo fra John Travolta e Uma Thurman è ormai diventata oggetto di culto. Sembra assurdo, ma a volte bastano dei movimenti coreografati alla perfezione per far vacillare il mondo mettendo in crisi regole fino ad allora seguite alla lettera. Questo per dire che in queste e altre circostanze, il ballo può sfidare l’ordine costituito, a livello personale, sociale, estetico, culturale e politico. Così dall’idea del ballo come esperienza di rottura e di messa in discussione di un ordine costituito si può arrivare, per vie associative all’idea (che ha una lunga storia intrecciata a quella del canto) della danza come forma di resistenza politica da parte di popolazioni oppresse. La scena del ballo di Pulp Fiction ci rimanda direttamente a La febbre del sabato sera, passando per tutta una serie di film dove la danza si carica di potenziale iniziatico (Dirty Dancing, Il tempo delle mele (1980)), diventa un modo per affermare la propria autonomia (Footloose), si trasforma in un teatro delle ossessioni (Il cigno nero (2010)), ammicca all’erotismo glamour (Moulin Rouge (2001)), oppure offre un’occasione di riscatto nel mezzo di una vita infelice (penso a Jennifer Lawrence e Bradley Cooper in Il lato positivo (2012)). Individuale (quello postmoderno delle discoteche), collettivo (tipo la Macarena) o a coppie (valzer, tango, salsa, etc.), la danza non cessa mai di essere un veicolo di affermazione della propria identità rispetto alla collettività. come per chi, nel pieno dell’adolescenza, decide che Io ballo da sola (il riferimento è al film di Bertolucci del 1996 il cui titolo originale, va detto, è Stealing Beauty). Perché chi dice «io ballo da sola» è un po’ come se dicesse «non mi lascio imbrigliare da nessuno». Oppure, come canta Ligabue, «sei bella che fai male / sei bella che si balla solo come vuoi tu»: qui a ballare sono gli altri, costretti ad ubbidire a chi detta il ritmo.

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