Il giovane regista ticinese e direttore della Ticino Film Commission Niccolò Castelli dallo scorso 1. agosto è il nuovo direttore delle Giornate di Soletta, il festival dedicato alle produzioni nazionali. La 58esima edizione (che inizia il 18 di gennaio e termina il 25 di questo mese) lo vedrà quindi per la prima volta alla testa di questa importante rassegna cinematografica elvetica. Lo abbiamo intervistato a pochi giorni dall’apertura.
Niccolò, come sta andando questa tua prima esperienza da direttore delle Giornate di Soletta?
Molto bene. Ho trovato un gruppo solido e giovane e quello che sto facendo è un lavoro appassionante che mi sta coinvolgendo molto. Devo dire che questi mesi sono stati molto intensi, soprattutto tra ottobre e novembre, quando abbiamo selezionato i film da inserire nelle varie sezioni, mentre da qualche settimana seguo tutta la parte logistica e legata alla preparazione e sono momenti altrettanto affascinanti e interessanti.
Come avete costruita questa edizione? Ci sono dei fils rouge che avete individuato?
È un’edizione con molti film che si occupano di temi attuali come la guerra, la questione climatica o le problematiche di genere. Inoltre, c’è una nuova generazione di cineasti che si sta affacciando alla settima arte con nuove idee. Sono giovani nati qui ma con radici in altri Paesi e grazie a questa ricchezza portano nuovi sguardi sul cinema; hanno dei mondi dentro di loro che vogliono mostrare al pubblico. In terzo luogo, abbiamo notato la presenza di parecchie donne con una forte personalità e che mettono in scena figure femminili altrettanto potenti, mai banali e nemmeno legate ai soliti cliché.
Sei il primo ticinese alla testa delle Giornate di Soletta. Che esperienza personale è da questo punto di vista?
Sicuramente interessante. Noto una grande apertura, oltre San Gottardo, verso la nostra realtà e verso una cultura diversa da quella svizzero-tedesca o romanda. Lo scambio, anche nel team di programmatori, è sempre intenso e arricchente e devo dire che spesso e volentieri sono accoglienti e pronti a comprenderci.
Come giudichi, quest’anno, le proiezioni che arrivano dalla Svizzera italiana?
Voglio anzitutto precisare un concetto: da regista comprendo perfettamente lo sforzo di realizzare un film e anche l’eventuale delusione di non essere accettato nel programma, spero perciò di essere riuscito a esser vicino a chi non è stato scelto. Detto ciò, e rispondendo alla domanda, devo dire che la presenza italofona è molto interessante. Penso, per esempio, a Natural Long Driver di Gionata Zanatta che ha indagato la storia del corridore d’auto Ivan Capelli e lo ha fatto grazie a un lavoro sulle immagini e la musica davvero sorprendente. Oppure penso a Fabio Pellegrinelli con il suo La tentazione di esistere, un road movie anomalo che ha un tono malinconico e uno humor particolare. Ma vedo anche una bella apertura da parte dei produttori come Michela Pini: un fatto interessante per il cinema ticinese che ha la tendenza a isolarsi un po’. Senza dimenticare l’alta qualità dei cortometraggi e dei nuovi autori.
Nella selezione, a tuo parere, ci saranno film che potranno avere successo anche in sala?
Difficile dirlo ora. Ma se dovessi scegliere credo che punterei sul documentario I Giacometti di Susanna Fanzun, ambientato in gran parte in Valle Bregaglia. Credo abbia tutte le carte in regola per interessare il grande pubblico.
Vi siete posti dei traguardi per quel che riguarda gli spettatori?
L’obiettivo è quello di raggiungere il 75% di spettatori che Soletta ha fatto registrare nell’ultimo anno prima della pandemia. Un traguardo sicuramente ambizioso, ma fattibile e io sono per natura ottimista e fiducioso, quindi…