Molto atteso, il film di Andrej Končalovskij (già due volte Leone d’oro in Laguna) non ha deluso le aspettative. Cari compagni è un’immersione nel partito comunista sovietico pochi anni dopo la morte di Stalin. Al poter c’è Krusciov e il Paese è sull’orlo di una crisi importante. Ma a sedare le rivolte ci pensa l’esercito e il kgb.

Il regista segue le vicende di Lyudmila, membro del partito locale e convinta militante. Nutre una solida fede nel comunismo e disprezza chi non si adegua al regime. Una fede che però vacilla quando, durante una manifestazione in una fabbrica, la polizia usa le maniere forti per disperdere i fomentatori. Molti morti e dispersi tra cui la figlia diciottenne. Da quel momento il focus non è più sugli ingranaggi della macchina comunista ma vira verso la ricerca della ragazza.

Il regista russo (classe 1937) ha spiegato che voleva fare un film sulla generazione dei suoi genitori, quella sopravvissuta alla Seconda Guerra mondiale convinta di poter morire per la patria. «Ho voluto ricostruire con la massima accuratezza un fatto realmente accaduto».

Come detto la mano del grande regista Končalovskij non l’ha persa. Anzi. In due ore di film l’attenzione dello spettatore non cala quasi mai. E anche il desiderio di mostrare un pezzo della storia sovietica dall’interno, è credibile e affascinante. Certo, uno deve avere un minimo di interesse e curiosità, ma una volta riuscito a immergersi nel clima di quell’epoca in quel paese tutto diventa facile e anche avvincente. Comprensibile l’uso del bianco e nero, anche se ci sono alcune scene che il colore avrebbe reso meglio. E pensiamo per esempio a quella in cui il sangue dei morti colora il piazzale di rosso. Un colore che possiamo solo immaginare. Grande, invece, il lavoro di casting. I visi, i corpi sono quelli forti e in carne dell’epoca. Come ha detto lui in conferenza stampa “non sono visi da selfie”.

La domanda finale è: dobbiamo affidarci a un ottantatreenne per vedere un buon film? Ma soprattutto: avrà le carte giuste per vincere la rassegna. Al resto del programma l’ardua sentenza.