Candy Land è un’area di sosta, ma anche un luogo d’incontro dove i camionisti che transitano per le strade d’America trovano il conforto estemporaneo del sesso a pagamento. A Candy Land ci sono regole semplici, dei codici con cui camionisti e prostitute comunicano a distanza, e che permettono al luogo di mantenere una parvenza di rispettabilità. Qui, a volte, anche la legge è costretta a chiudere un occhio, come quando la quotidianità e i ritmi abituali di questo angolo di mondo vengono sconvolti da una serie di efferati omicidi.
L’inizio del film ci mostra alcuni squarci della quotidianità dei personaggi principali: Sadie, Riley, Liv, Levi, la loro maîtresse Nora, e lo sceriffo Rex, sorta di protettore complice più che vero uomo di legge. Poi arriva Remy, una giovane donna devota, che è stata misteriosamente espulsa dal suo culto religioso. Senza un posto in cui rifugiarsi, la giovane si immerge nel mondo sotterraneo di Candyland: ben presto però le verrà spiegato che se vuole restare, dovrà rendersi utile imparando il mestiere.
Con il procedere del film, Candy Land sprofonda in un’inarrestabile spirale di violenza che non sembra risparmiare nessuno, neanche i membri dell’oscuro culto religioso. Il film, che inizialmente sembrava ambire a uno sguardo sociologico sulla marginalità e sul mondo della prostituzione, abbandona un po’ frettolosamente questo terreno per incanalarsi sui binari di un’estetica splatter che, da un certo punto in poi, risulta un po’ prevedibile. È forse questo il limite maggiore del film: quello di volere giocare su più fronti, aprendo più strade, senza però risultare convincente su nessuno dei fronti che il regista esplora.