Presente quest’anno a Locarno con la versione restaurata del suo film Sátántangó (in 4K, dal 35mm originale – restauro che ha visto la partecipazione costante del regista), ho l’occasione di intervistare Béla Tarr, di sosta al Festival per pochi giorni prima di ripartire. Negli scorsi mesi ha concluso un workshop intensivo con alcuni giovani cineasti provenienti da tutto il mondo, fra cui alcuni studenti del Conservatorio Internazionale di Scienze Audiovisive di Locarno. Il workshop ha consentito ai registi di ideare, scrivere, girare e montare ognuno un proprio cortometraggio a tema Mountains – Loneliness – Desire, per infine creare un’unica opera suggestiva (presentata durante il Festival) che potesse proiettare la forza delle montagne della nostra Regione attraverso il medium del linguaggio cinematografico.
Questo è uno dei tanti laboratori che Béla Tarr organizza, scegliendo e selezionando personalmente i partecipanti, condividendo così un cammino personale che lo ha visto realizzare film di esplorazione personale e sociale, capisaldi della storia del cinema, film che offrono possibilità pressoché infinite allo spettatore di addentrarsi attraverso immagini e suoni portando alla luce l’inscindibilità tra realtà e messa in scena.
In questi anni successivi a Il Cavallo di Torino del 2011 Tarr non ha più realizzato film, ma ha concesso e concede il proprio tempo affinché giovani autori abbiano la possibilità di trovare e scoprire il proprio immaginario immergendosi a pieno nella realtà.

Lo aspetto fuori dal bar. In più occasioni ho sentito la sua voce, durante altre interviste o presentazioni dei suoi film; sono quindi carica di aspettative, che come sempre si disintegreranno per formare nuove e migliori verità una volta iniziata la conversazione.
Al suo arrivo, sigaretta sempre fra le dita e occhiali da sole che gli scivolano sugli occhi coprendone ad intermittenza lo sguardo, non sembra mostrare nessuna fretta, malgrado il programma rigoroso delle interviste (mi saranno concessi solo quindici minuti) che lo aspettano durante la sua permanenza.

Una volta entrati, Béla Tarr si lascia ritrarre volentieri dal nostro fotografo, non prima però di aver sostituito il cuscino bianco con quello nero ed assicurandosi che la luce potesse funzionare.
Terminati gli scatti, mi invita al suo fianco e l’intervista ha inizio.

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