Cosa succede nella testa di un bambino di 7 anni, fino ad allora figlio unico, quando arriva un fratellino? La domanda incuriosisce. Se poi al protagonista, Tim, non manca l’immaginazione allora le cose si fanno più divertenti e serie allo stesso tempo.

Baby Boss, il nuovo film d’animazione di uno dei papà di Madagascar, è nelle sale in queste settimane e promette di essere molto divertente. Per i coetanei di Tim il film è uno spasso in quanto riesce a trasformare le paure in gioco, in avventura fantastica. Ma allo stesso tempo è ricco di altri spunti interessanti di riflessione. Si parla, per esempio, dello spodestamento dei neonati nelle famiglie da parte degli animali da compagnia, un fenomeno che sta preoccupando gli Stati Uniti in quanto provoca un certo tasso di denatalità. Si parla anche delle difficoltà di essere genitori stravolti dalla fatica dei primi mesi di cura del neonato, quando pensano, magari anche solo per un istante: «Vorrei che non fossi mai nato».

Ma è sul rapporto tra i fratelli che Baby Boss gioca le sue carte vincenti. In particolare sullo sguardo di Tim. Che quale vede nel neonato un piccolo dittatore, venuto dal nulla per usurpare il suo meritato trono. Tim, tra le altre cose, immagina, per esempio, che esiste, lassù da qualche parte tra le nuvole, una azienda che gestisce il traffico mondiale di neonati. E da lì parte con la mente immaginando mondi in cui sono i neonati a comandare e a dettar legge.

Al botteghino sta avendo enorme successo. Basti pensare che nelle prime settimane di programmazione negli States ha già superato i 117 milioni di dollari e in totale siamo vicini al 250 milioni in tutto il mondo.

Una frase estrapolata dal film chiarisce in modo esemplare il tono della pellicola e i pensieri di Tim. «Eravamo solo noi tre, i Templeton. La vita era perfetta, fino a quel fatidico giorno… Tim, guarda chi è arrivato!»