Non decolla mai. Non parte mai davvero Armageddon Time dell’americano James Gray (The Yards, Little Odessa, Two Lovers, Ad Astra), presentato in concorso a Cannes. Eppure, gli elementi c’erano tutti: il cast (Anne Hathaway, Anthony Hopkins e Jeremy Strong), il regista, la splendida fotografia di Darius Khondji e una bella storia autobiografica nel Queens, a New York. Ma l’ottavo lungometraggio di uno dei registi Usa più amati in Francia (è la quinta volta che è in concorso sulla Croisette) si ferma sempre sulla pista d’atterraggio senza mai partire.
Per farsi incarnare Gray sceglie il piccolo Banks Repeta, un ragazzino un po’ ribelle e un po’ artista, con mille sogni in testa e poca voglia di andare a scuola. Accanto a lui la madre iperstressata ma affettuosa, il fratello che lo bullizza continuamente, il padre frustrato e il nonno affettuoso: l’unica persona che lo capisce davvero e gli dà i consigli giusti. Una classica famiglia di quel tempo che condivide lo schermo con l’amico afroamericano che, come lui, si ribella al sistema scolastico.
Il racconto di formazione, perché di questo si tratta, non punge mai davvero e non basta la critica sociale al trattamento diverso riservato della polizia ai due ragazzini quando commettono un piccolo reato, solo perché uno bianco e l’altro nero. Neppure l’antipatia viscerale della famiglia ebreo-democratica verso l’arrivo di Reagan al potere non è approfondita con il giusto piglio, solo accennata qua e là.
Certo, c’è anche Hopkins che, con la sua immensa bravura, può trasformare in oro tutto quello che luccica. Ma questa volta neppure lui riesce a fare il miracolo.