Siamo a Mumbai, capitale di Bollywood, ma lontani mille miglia dai film in costume e danzanti che tanto piacciono agli indiani. Siamo più vicini al realismo europeo o al grande maestro Satyajit Ray in questo All We Imagine as Light, presentato in concorso alla 77esima edizione del Festival e seconda opera di Payal Kapadia.

In questa grande città la vita quotidiana di Prabha viene sconvolta quando riceve un regalo inaspettato da suo marito che è andato a vivere all’estero. La sua giovane compagna di stanza, Anu, cerca invano di trovare un posto in città dove fare sesso con il suo ragazzo. Un viaggio in un villaggio costiero offre alle due donne uno spazio dove i loro desideri possono finalmente manifestarsi. Questa, in estrema sintesi la trama del film e come si può capire al centro ci sono le donne: il vero pilastro della comunità indiana che spesso e volentieri non vengono valorizzate in quella società e nella filmografia di Bollywood, dove hanno ruoli stereotipate e fiabeschi.

È un’opera interessante, che passa dalla descrizione della cruda realtà cittadina al lirismo, grazie a una maestria rara nel girare le scene e nel montare la storia. Anche la fotografia contribuisce a rendere il tutto poetico e concreto allo stesso tempo e a sovrapporre le varie storie immerse nella realtà quotidiana con i loro sogni.

Così come è molto viva la megalopoli, nei suoi vari quartieri, strade e storie e quale contenitore di varia umanità. È un film filmato soprattutto di notte, con i neri che avvolgono di sogni l’atmosfera e i neon delle luci che ne confermano l’aspetto onirico. Senza dimenticare tutto il tappeto sonoro: particolare, dolce e mai invadente ad accompagnare le vite delle tre donne nelle loro gesta e nei loro pensieri.

È un film importante anche perché, dopo quasi 30 anni, l’India torna nel concorso principale a Cannes. E lo fa con un film che parla dell’oggi, dei problemi sociali e dei sogni della nuova generazione di donne e questo potrebbe piacere alla giuria diretta da Greta Gerwig.