Nuri Bilge Ceylan ha realizzato un’altra epopea, giustamente messa nel concorso principale di Cannes. Alcuni hanno detto che guardare un suo film è come leggere un romanzo russo dell’800. In qualche senso è vero, anche perché ha il respiro, come le sue 3 ore e mezza, di questo tipo di romanzo. Eppure About Dry Grasses è anche altro: è molto contemporaneo nelle questioni strettamente politiche e il suo personaggio principale fa di tutto per non piacere al pubblico.

Siamo in un remoto villaggio dell’Anatolia orientale dove Samet (Deniz Celiloglu), un giovane docente di arti visive, insegna a una classe di ragazzi. In particolare, ha un’allieva prediletta, Sevim (Ece Bagci) che tratta con i guanti e con regali. Lui si compiace e si sente gratificato dell’ammirazione che lei prova per lui. Un rapporto privilegiato che tuttavia gli si ritorcerà contro.

La palma d’oro del 2014 con Winter Sleep segue la vita quotidiana del docente, in un ambiente a lui ostico sotto tutti i punti di vista. Dal freddo, alla mancanza di distrazioni culturali, sociali e amorose. Fino a quando incontra Nuray, una giovane ragazza che ha perso una gamba, attiva politicamente e che cerca di rifarsi una vita. All’inizio sembra una conoscenza senza grande futuro, ma la competizione con il coinquilino Kernan lo porterà ad andare oltre.

E non è tutto perché Samet, insieme al collega, subisce un’accusa di maltrattamento da parte di alcune ragazze (tra cui la prediletta) della scuola. Un fatto che lo preoccupa e che cambia radicalmente il punto di vista sulla routine del piccolo villaggio contadino.

L’opera è costituita da diverse scene dialogate nelle quali si parla di problemi legati alla vita nella regione, al freddo glaciale fino a disquisizioni filosofiche e politiche. E noi, spettatori, riusciamo ad appassionarci grazie anche alla speranza di un’evoluzione di Samet. Perché difficilmente un personaggio tanto antipatico, subdolo, vendicativo e infimo non potrà trovare una sua redenzione e così trasformare il suo male di vivere in qualcosa di migliore.

Perché, alla fine, dopo le grandi nevicate (e nel film ce ne sono parecchie) c’è sempre una giornata di sole.