È curioso che nel giro di pochi mesi siano usciti due film ambientati nello stesso momento storico. Siamo nel maggio del 1940 e la Gran Bretagna deve decidere se scendere a patti con Adolf Hitler oppure combatterlo. E se in Dunkirk di Christopher Nolan abbiamo vissuto la sofferenza e la ritirata delle truppe dalla spiaggia belga, qui cambiamo prospettiva e siamo nella stanza dei bottoni. Accompagniamo il primo ministro Winston Churchill nei corridoi stretti e negli uffici bui londinesi in cui vengono prese le decisioni.
L’ora più buia è diretta da Joe Wright (Orgoglio e pregiudizio), un autore sempre legato alla storia inglese e attaccato alla battaglia di Dunkuerque (molto famoso il piano-sequenza di Espiazione ambientato su quella spiaggia). A incarnare Churchill, un irriconoscibile Gary Oldman (in odore di Oscar) costretto a ore di trucco per diventare il famoso primo ministro.
Rispetto al film di Nolan – dove dominano i silenzi e la paura – il film di Wright è basato sulla parola, sui versi e sulle urla di Churchill. Ne esce un personaggio iroso e deciso ma anche dolce e intuitivo. Un personaggio che si porta sulle spalle un intero popolo basandosi su una vasta cultura classica (non mancano le citazioni dei latini).
La parola, si diceva, domina. Negli scontri con i suoi avversari politici, nei discorsi che scrive e che fa davanti al parlamento e in tre momenti chiave della pellicola: in altrettante telefonate. La prima al presidente americano Roosvelt, quando gli chiede aiuto senza successo; la seconda al Re, quando riceve «una regale bacchetta sulle dita»; e la terza al generale quando gli chiede di sacrificare i suoi 3mila uomini a Calais per salvarne centinaia di migliaia a Dunkuerque.
Nonostante non si spari nemmeno un colpo di pistola, la protagonista de L’ora più buia – molto più della pellicola poetica e onirica di Nolan – è la guerra. Le liti di Churchill con le colombe pacifiste del suo governo lo dimostrano. Un atteggiamento bellicoso (ma anche da fine stratega militare) che lo ha portato a farsi seguire e amare dal proprio popolo e – alla fine – a vincere la guerra.